Two of us

Feb. 22nd, 2019 11:39 pm
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[personal profile] flanflame
Fandom: Detroit: Become Human
Personaggi: Hank Anderson
Avvertimenti: menzione di suicidio, depressione, character death (canon nel gioco)
Wordcount: 1551

Prompt: Sereno
Note: scritta per il cow-t di Lande di Fandom con il prompt "Sereno"


Il cielo era sereno anche quel giorno, quel giorno in cui Hank avrebbe voluto con tutte le sue forze che il mondo si oscurasse e smettesse di esistere.
Era rimasto in casa finché aveva potuto, finché la vita non lo aveva trascinato fuori, e con vita intendeva le persone che aveva intorno e che continuavano ad insistere che non era tutto finito, che c'era ancora speranza per lui e che sì, era stato sicuramente un grave colpo, ma poteva andare avanti.

Ma in fondo che ne sapevano le persone della morte? Non era soltanto un'idea, per alcuni? La maggior parte della gente che conosceva non l'aveva sperimentata nemmeno da vicino, se non attraverso casi e cadaveri, che comunque non erano sufficienti a darti l'idea del dolore che si poteva provare in quei casi.
Chiuse gli occhi, seduto sulla panchina con al fianco un paio di bottiglie di birra finite. I bambini giocavano nel parco e questo non faceva altro che ricordargli quanto fosse sbagliato tutto ciò, quanto non dovesse essere così.

Perché loro sì e non Cole? Perché... perché gli avevano portato via tutto ciò che c'era di bello in quel mondo infame? Non riusciva davvero a farsene una ragione, avrebbe voluto strappare via tutto, dai propri capelli alla pelle ai sorrisi di quei bambini.
Ma non era colpa loro, non era colpa di nessuno, in fondo, se non del maledetto destino che aveva deciso di giocargli quella cazzo di mossa.


Hank era una persona piuttosto terra terra. Non credeva all'esistenza di un Dio e non credeva davvero in niente che non fosse la scienza. Imprecava un sacco e comunque non si era mai sentito affine a una religione, ma se ci fosse stato un Dio, lassù, beh, sarebbe stato un gran figlio di puttana.

Nella vita aveva scelto sempre le cose migliori, le opzioni migliori. Tutto ciò che potesse letteralmente concedergli un posto nel cosìdetto paradiso. Certo non pretendeva di avere la chiave di quest'ultimo, ma aveva deciso di votare la propria vita all'aiuto del prossimo, era stato uno studente brillante, un giovane tenente ancora più brillante, aveva fatto una carriera impeccabile e non si era mai arreso di fronte a qualunque difficoltà.

Finché non arrivò quella maledetta telefonata.

Non aveva potuto accompagnare Cole a scuola quel giorno e sua madre aveva deciso di non andare a lavoro per poter sollevare Hank da quell'incarico. Al tempo lavorava tanto, forse addirittura troppo, e mai e poi mai avrebbe pensato che il lavoro sarebbe diventato il suo peggior nemico.
C'era ghiaccio, era freddo, l'auto era sbandata e poi soltanto il buio, o almeno, Hank riusciva ad immaginarlo soltanto così.
Aveva mollato tutto ed era corso all'ospedale, sperando con tutto sé stesso che sua moglie e suo figlio stessero bene. La donna era fortunatamente uscita quasi illesa dall'incidente, lo stesso non si poteva dire di Cole.

Hank si sentì nel panico. Nella vita avrebbe potuto rinunciare davvero a qualunque cosa, ma non a suo figlio. Avrebbe fatto carte false pur di salvarlo, letteralmente. Voleva sul serio donargli ancora la vita, vedere i suoi occhi ancora una volta, scompigliargli i capelli e ricordargli quanto gli voleva bene.

Purtroppo, però, non poté farlo.

Non sai mai quando può essere l'ultimo saluto. Hank aveva sentito quella frase un centinaio di volte da diversi clienti durante delle indagini e mai e poi mai avrebbe potuto immaginare che si sarebbe trovato a concordare con una simile affermazione. Tuttavia, era vero.
La vita procedeva sempre in modo assurdamente frenetico e strano e non era sempre prevedibile. Quando Hank investigava sui casi si ritrovava di fronte ai cadaveri e li analizzava con fare distaccato, lontano. Ma dopo la morte di Cole qualcosa era cambiato. Aveva ripreso in mano la propria vita e aveva ricominciato a fare i calcoli con essa.

Aveva smesso di dare per scontate le persone intorno a lui perché, di fatto, c'era poco di cui esser certi. Come poteva esser giusto che un bambino di soli quattro anni morisse così? Che la sua vita gli fosse strappata via senza nemmeno una buona ragione, sempre che ne esista una?


Hank alzò gli occhi al cielo, abbandonando la testa all'indietro e cercando delle rispose inesistenti, fissando quel cielo insopportabilmente azzurro sopra il suo naso. Lo faceva arrabbiare, anzi, incazzare. Sì, era incazzato come una bestia perché il tempo si permetteva di sbattergli faccia colori così allegri accompagnati da grida e risate di bambini, quando dentro di lui tutto stava morendo in un baratro di oscurità. Non era giusto. Cole adorava uscire al parco e divertirsi con gli altri bambini, e tutti potevano ancora farlo, potevano correre dietro a una palla, godere del calore della primavera e della gioia dello stare insieme.

Chiuse gli occhi.

Forse avrebbe dovuto cominciare a pensare di farla finita, perché tutto intorno a lui non faceva che ricordargli quanto la vita fosse stata ingiusta con lui e con suo figlio.

Decise di alzarsi pigramente, buttando via le bottiglie con disappunto; sarebbe andato al supermercato e ne avrebbe comprate altre, così, forse, sarebbe riuscito a sbronzarsi sufficientemente da premere il grilletto.
Sarebbe tornato a casa, si sarebbe seduto al tavolo e avrebbe fissato la foto di Cole. Poi avrebbe cominciato a piangere pensando a quanto altro avrebbe voluto dirgli e a come se lo immaginava da grande. Chissà se sarebbe stato un artista, uno scrittore, o magari un poliziotto.

Pensare che non lo avrebbe mai saputo era ciò che lo faceva stare più male.


Comprò l'ennesima cassa da sei di birre e aprì la porta svogliatamente, buttando le chiavi lì vicino. Lasciò aperto, quantomeno se la polizia avesse cercato il suo cadavere avrebbe saputo dove trovarlo.

Si sedette e compì il rito che aveva pensato poco prima, prendendo anche la bottiglia di Rhum. Di certo non sarebbero bastate appena sei birre per farlo sbronzare come si deve.

Caricò la pistola e cominciò a premere il grilletto.


Clic.

Nessun colpo.


Carica.

Premi.

Nessun colpo.


Hank appoggiò la pistola sul tavolo mentre le proprie dita tremavano. Le lacrime cominciarono a riempire i suoi occhi e appoggiò la testa contro la superficie fredda.
Perché continuare a vivere così? A quale scopo?
Si fermò.

Avrebbe riprovato a morire l'indomani, quella sera era... troppo.

Osservò la faccia di Cole ancora una volta prima di crollare stanco, sul tavolo. Si addormentò piangendo.


*


Hank decise che non sarebbe più uscito di casa se non per stretta necessità e la cosa sembrava non piacere a Jeffrey, il quale, un giorno, del tutto deliberatamente, si presentò a casa sua con un regalo tutt'altro che gradito.
"Un cane?! Sul serio, ma ti sei bevuto il cervello? Io non lo voglio."
"Hank! Non farmi incazzare e prendi questo maledettissimo cane. Lo avevano abbandonato e io non posso tenerlo."
"E quindi perché dovrei occuparmene io, esattamente?"
"Perché tu sei solo e io non posso assolutamente prendermi questo onere. Hai bisogno di lui tanto quanto lui ha bisogno di te"
"Non è vero"
"Osi dire che non è vero?"

Osservò gli occhi di quel cucciolo. Era un San Bernardo e aveva un'espressione buffa, tonta e di certo poco attenta.

"Jeff, non sono capace di prendermi cura di me stesso, vuoi spiegarmi come potrei prendermi cura di un cane, esattamente? Penso alla morte un giorno sì e l'altro pure, perché vuoi assegnarmi un essere vivente quando io non affiderei la mia stessa vita nemmeno a me stesso?"

"Hank, sai benissimo che sei bravo a prenderti cura del prossimo, lo hai fatto per tanto tempo, quindi non dire stronzate. Sono certo che questo piccoletto possa aiutarti a stare meglio e... anche lui vuole disperatamente l'affetto di qualcuno"

"Ecco perché ti ribadisco che hai sbagliato persona," insistette Hank, cercando di far cambiare idea a Jeff pur sapendo che non ci sarebbe davvero riuscito.
Accarezzò il cucciolo di San Bernardo e gli prese la testa tra le mani. Era enorme per essere soltanto un piccoletto e in fondo, per qualche assurda e per nessun motivo, buona ragione, sembrava in qualche modo... somigliargli.

"Ti stai affezionando?"

"Non dire scemenze, sono appena cinque minuti che respiriamo la stessa aria!"

Hank però lo guardò e in quel cane ritrovò se stesso. Era solo e non voleva lasciare un altro essere vivente per conto suo.

Certo, era lui stesso un disastro umano, ma forse avrebbe potuto riprovarci. A Cole sarebbe piaciuto tanto, un cane.

“Sapevo che ti sarebbe piaciuto,” esordì Jeffrey, lasciandogli il cane tra le braccia. Pesava da morire per essere solo un cucciolo.

“Non riesco davvero a capire come tu possa avermi incastrato in una situazione simile,” grugnì.

“Oh Hank, fidati se ti dico che hai bisogno di lui forse più di quanto lui non abbia bisogno di te per trovare dei croccantini e un po’ di amore.”

Strinse il cane tra le braccia, il quale si allungò verso di lui e gli leccò il mento. Hank sorrise dopo tanto tempo, sentendo una strana e insolita sensazione di serenità dentro al proprio petto.
Forse Jeffrey aveva ragione, forse quel cane poteva davvero fargli provare di nuovo qualcosa che non fosse il desiderio di morire.


“Quindi siamo io e te… Sumo,” Hank lo alzò fino a farlo coincidere col proprio volto. “Andrà bene, tu che dici? Ci proveremo a farla andare bene?”

Il cane abbaio e Hank sorrise.

Sì, sarebbe decisamente piaciuto anche a Cole.



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