[flashfic] Intenti
Feb. 17th, 2021 08:17 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Intenti
Fandom: Detroit: Become Human
Wordcount: 764 parole
Challenge: questa fanfiction partecipa all'iniziativa Cow-T di landedifandom
Team Calico
Prompt: Neve/Oscurità
Note: la fanfiction non è betata. Mediamente si setta nella route dove Connor rimane macchina e cerca di sparare a Markus
Connor alza gli occhi verso il cielo. E’ grigio, quel grigio che preannuncia neve. L’odore dell’aria è diverso dal solito, ma non lo indicano i suoi sensi - non li ha, dopotutto- ma il suo sistema.
Il sistema gli dice anche che nevicherà e lui ci crede, ma questo non fa alcuna differenza. Non sarebbe stata solo la neve a cadere, quel giorno.
Carica il fucile, si ferma e attende, sedendosi per terra sulla cima del palazzo, pronto a compiere la sua missione.
Il thirium pompa veloce all’interno del suo corpo cibernetico. Tutto si fa più scuro intorno a lui, mentre cala la sera. Ha lavorato molto per arrivare fin lì e niente e nessuno lo avrebbe dissuaso dal suo compito.
E’ stato creato per questo: un insieme di ingranaggi, di cavi, un’intelligenza artificiale di avanzatissimo livello.
Il thirium pompa ancora più veloce, assottiglia lo sguardo attraverso il mirino.
Il suo obiettivo è a portata, finalmente. Circondato da molte altre persone. Connor si morde il labbro inferiore, concentrandosi. Un gesto non richiesto ad un androide, ma che ha visto fare una miriade di volte agli umani.
A suo malgrado, ha immagazzinato nella sua coscienza digitale molte più cose di quante non ne fossero necessarie.
Un rumore di una porta che sbatte lo distrae e si volta, abbassando il fucile per qualche istante.
Ancora lui.
“Tenente Anderson, le conviene non interferire con la mia missione,” Connor torna a guardare l’obiettivo. Il momento è cruciale e non può essere distratto.
Hank gli ha insegnato così tanto sull’umanità e gliene era grato, ma se avesse dovuto far fuori anche lui per la riuscita della sua missione, beh, non si sarebbe fatto nessun problema.
Hank allunga una mano verso di lui, andandogli incontro.
“Non ti ho insegnato niente? Cosa stai facendo! Fottuto androide,” negli occhi di Hank c’è qualcosa, forse Connor la definirebbe tristezza, malinconia. Qualunque emozione fosse, non poteva intaccare nulla. Qualcosa, forse un’instabilità del software, lo stava facendo traballare.
Appoggia il ginocchio a terra, toccandosi la testa e poi alzando lo sguardo, Hank tenta di disarmarlo, ma non ci riesce. Connor si alza velocemente, recupera il fucile e lo punta verso di lui.
“La missione è più importante di ogni cosa, Tenente Anderson,” lo guarda e sa di essere spietato, ma non riesce a premere il grilletto con la stessa facilità che si sarebbe aspettato di avere.
Hank apre le braccia e butta la pistola. Non vuole lottare. Non così. Connor non sa se è giusto puntare un’arma contro una persona disarmata.
Hank è una persona distrutta, sofferente, aveva provato ad uccidersi qualche volta, forse sparargli sarebbe stato un gesto misericordioso.
Software instabile.
Come previsto, comincia a nevicare. Connor alza gli occhi verso il cielo. Prova qualcosa, ma lo ignora. Lo spinge giù, basso, nell’oscurità dei suoi circuiti.
“Credevo di averti fatto capire il valore della vita, di averti insegnato che le missioni non sono per forza sempre giuste…”
Connor alza di nuovo il fucile.
Non è facile, sente dentro di sé qualcosa che lo frena. Non sa cosa sia, non sa dargli un nome, è tutto troppo strano. Errori di sistema si sovrappongono: immagini, veloci, quasi come se fossero fotografie della sua breve vita, dei suoi momenti con Hank.
Connor apre gli occhi e tiene ferma l’arma, non vuole esitare.
“Ma come sempre, sono io a fallire…” la voce di Hank è bassa, sconfitta.
“Qual è la sua missione, Tenente?” Connor lo guarda, con il braccio teso in avanti e il fucile pronto a colpire.
Hank gli rivolge lo sguardo più freddo, più freddo del ghiaccio, della neve che stava ricoprendo lentamente il tetto.
“Fermare questa follia,” risponde, e Connor capisce che non ha scelta.
Non ha scelta, deve ucciderlo o Hank gli impedirà di compiere l’ultimo passo per cui è stato creato. Non può permetterglielo, non adesso che manca così poco.
Prende la mira.
Sa che è la cosa giusta da fare.
La missione è sempre la cosa giusta.
Il suo software segnala instabilità, lo ignora.
Hank dice qualcosa, ma non lo ascolta. Non può farlo.
Spara.
Il tonfo del corpo di Hank che cade a terra, quasi inerme. Connor abbassa l’arma, mentre il sangue dell’uomo macchia il pavimento e la poca neve che vi si è depositata. Connor si avvicina lento, tremando e lasciando cadere il fucile.
Il software è instabile.
Non si accorge di niente fino a quando non sente il rumore di un altro sparo. Riesce soltanto a vedere il viso di Hank, un leggero sorriso dipinto sopra di esso.
Cade, i circuiti sono stati compromessi. Messaggi di errore.
Tutto si fa buio.
Oscurità.
Fandom: Detroit: Become Human
Wordcount: 764 parole
Challenge: questa fanfiction partecipa all'iniziativa Cow-T di landedifandom
Team Calico
Prompt: Neve/Oscurità
Note: la fanfiction non è betata. Mediamente si setta nella route dove Connor rimane macchina e cerca di sparare a Markus
Connor alza gli occhi verso il cielo. E’ grigio, quel grigio che preannuncia neve. L’odore dell’aria è diverso dal solito, ma non lo indicano i suoi sensi - non li ha, dopotutto- ma il suo sistema.
Il sistema gli dice anche che nevicherà e lui ci crede, ma questo non fa alcuna differenza. Non sarebbe stata solo la neve a cadere, quel giorno.
Carica il fucile, si ferma e attende, sedendosi per terra sulla cima del palazzo, pronto a compiere la sua missione.
Il thirium pompa veloce all’interno del suo corpo cibernetico. Tutto si fa più scuro intorno a lui, mentre cala la sera. Ha lavorato molto per arrivare fin lì e niente e nessuno lo avrebbe dissuaso dal suo compito.
E’ stato creato per questo: un insieme di ingranaggi, di cavi, un’intelligenza artificiale di avanzatissimo livello.
Il thirium pompa ancora più veloce, assottiglia lo sguardo attraverso il mirino.
Il suo obiettivo è a portata, finalmente. Circondato da molte altre persone. Connor si morde il labbro inferiore, concentrandosi. Un gesto non richiesto ad un androide, ma che ha visto fare una miriade di volte agli umani.
A suo malgrado, ha immagazzinato nella sua coscienza digitale molte più cose di quante non ne fossero necessarie.
Un rumore di una porta che sbatte lo distrae e si volta, abbassando il fucile per qualche istante.
Ancora lui.
“Tenente Anderson, le conviene non interferire con la mia missione,” Connor torna a guardare l’obiettivo. Il momento è cruciale e non può essere distratto.
Hank gli ha insegnato così tanto sull’umanità e gliene era grato, ma se avesse dovuto far fuori anche lui per la riuscita della sua missione, beh, non si sarebbe fatto nessun problema.
Hank allunga una mano verso di lui, andandogli incontro.
“Non ti ho insegnato niente? Cosa stai facendo! Fottuto androide,” negli occhi di Hank c’è qualcosa, forse Connor la definirebbe tristezza, malinconia. Qualunque emozione fosse, non poteva intaccare nulla. Qualcosa, forse un’instabilità del software, lo stava facendo traballare.
Appoggia il ginocchio a terra, toccandosi la testa e poi alzando lo sguardo, Hank tenta di disarmarlo, ma non ci riesce. Connor si alza velocemente, recupera il fucile e lo punta verso di lui.
“La missione è più importante di ogni cosa, Tenente Anderson,” lo guarda e sa di essere spietato, ma non riesce a premere il grilletto con la stessa facilità che si sarebbe aspettato di avere.
Hank apre le braccia e butta la pistola. Non vuole lottare. Non così. Connor non sa se è giusto puntare un’arma contro una persona disarmata.
Hank è una persona distrutta, sofferente, aveva provato ad uccidersi qualche volta, forse sparargli sarebbe stato un gesto misericordioso.
Software instabile.
Come previsto, comincia a nevicare. Connor alza gli occhi verso il cielo. Prova qualcosa, ma lo ignora. Lo spinge giù, basso, nell’oscurità dei suoi circuiti.
“Credevo di averti fatto capire il valore della vita, di averti insegnato che le missioni non sono per forza sempre giuste…”
Connor alza di nuovo il fucile.
Non è facile, sente dentro di sé qualcosa che lo frena. Non sa cosa sia, non sa dargli un nome, è tutto troppo strano. Errori di sistema si sovrappongono: immagini, veloci, quasi come se fossero fotografie della sua breve vita, dei suoi momenti con Hank.
Connor apre gli occhi e tiene ferma l’arma, non vuole esitare.
“Ma come sempre, sono io a fallire…” la voce di Hank è bassa, sconfitta.
“Qual è la sua missione, Tenente?” Connor lo guarda, con il braccio teso in avanti e il fucile pronto a colpire.
Hank gli rivolge lo sguardo più freddo, più freddo del ghiaccio, della neve che stava ricoprendo lentamente il tetto.
“Fermare questa follia,” risponde, e Connor capisce che non ha scelta.
Non ha scelta, deve ucciderlo o Hank gli impedirà di compiere l’ultimo passo per cui è stato creato. Non può permetterglielo, non adesso che manca così poco.
Prende la mira.
Sa che è la cosa giusta da fare.
La missione è sempre la cosa giusta.
Il suo software segnala instabilità, lo ignora.
Hank dice qualcosa, ma non lo ascolta. Non può farlo.
Spara.
Il tonfo del corpo di Hank che cade a terra, quasi inerme. Connor abbassa l’arma, mentre il sangue dell’uomo macchia il pavimento e la poca neve che vi si è depositata. Connor si avvicina lento, tremando e lasciando cadere il fucile.
Il software è instabile.
Non si accorge di niente fino a quando non sente il rumore di un altro sparo. Riesce soltanto a vedere il viso di Hank, un leggero sorriso dipinto sopra di esso.
Cade, i circuiti sono stati compromessi. Messaggi di errore.
Tutto si fa buio.
Oscurità.