[Capitolo] Ghost of a king
Apr. 1st, 2020 07:38 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Ghost of a king
Capitolo: 1
Fandom: Merlin BBC
Coppia: Arthur/Merlin
Wordcount: 10.000 (landedifandom)
Prompt: I fili intrecciati del destino - Missione 6 del Cow-t (+ carta Minthe)
Timeline: canon-era, post 5x13 fino alla modern era
Note: Non betata
Titolo ispirato a questa canzone: https://www.youtube.com/watch?v=C5kuxgJGtEw
"I vostri destini sono intrecciati per l'eternità, mio giovane mago. Arthur ritornerà quando Albion ne avrà bisogno e tu sarai lì per lui."
"Quanto dovrò aspettare?"
"A nessuno è dato saperlo. Ma tu e il re siete destinati a stare insieme, Merlin. Niente potrà separarvi da questo destino."
"Tu parli di destino, di stare insieme, ma ciò che io..."
"Conosco i tuoi sentimenti verso Arthur, Merlin. Io lo so, so cosa provi e quello che ti posso garantire è che siete destinati. La vostra vita insieme può accadere, ma non adesso, non in questo tempo, né in altri che verranno in futuro. Ci sarà un'epoca per voi, una in cui potrete essere felici e vivere insieme, ma devi avere pazienza."
Pazienza.
Non sapeva quanta ne avrebbe davvero dovuta avere.
Kilgarrah volì via e lo lasciò lì, piegato sul corpo di Arthur. Avrebbe dovuto dire addio all'uomo che amava e non era assolutamente pronto per farlo.
Si chinò su di lui e, piangendo, gli diede un bacio sulla fronte.
"Ti aspetterò per sempre..."
Merlin non tornò a Camelot per giorni.
Sapeva che le sue azioni avrebbero avuto un peso, come far preoccupare Gaius o Gwen o i cavalieri - quanti di loro erano rimasti?
La notizia che il Re era morto era sopraggiunta da un addolorato Parsifal, il quale aveva trovato Merlin ancora inginocchiato alla riva del lago di Avalon.
Aveva provato a convincerlo a tornare a Camelot su un primo momento, ma quando gli occhi di Merlin lampeggiarono illuminandosi di una luce dorata, Parsifal fece un passo indietro, capendo tutto improvvisamente e scegliendo di lasciare - forse deliberatamente, forse no, - il mago lì, senza insistere ulteriormente.
La sua vita era distrutta e niente sarebbe stato più come prima. Che destino poteva avere, adesso, se non quello di aspettare?
Vagò per giorni per la foresta, per le terre di Albion. Riusciva a sentire l'energia del mondo scorrere dentro di lui, perché lui stesso era energia. Ne era inebriato. Ogni cosa sembrava sussurrargli vita e il che lo faceva quasi arrabbiare, considerando che riusciva, al tempo stesso, a percepire solo il vuoto e la morte. La mancanza di Arthur a quelle terre aveva portato qualcosa di irrimediabilmente tragico, qualcosa alla quale lui non sarebbe sopravvissuto con troppa facilità.
Si chiedeva come potesse essere davvero arrivato il suo tempo: Arthur era davvero troppo giovane. Troppo giovane per morire. Kilgarrah e suo padre dicevano che era soltanto l'inizio della loro leggenda, ma come poteva essere così quando tutto sembrava narrarne la fine?
Merlin non riuscì a farsene una ragione per i giorni seguenti.
E nemmeno per i secoli che vennero dopo quell'accaduto.
Quando tornò a Camelot aveva ormai i vestiti troppo sporchi e le suole consumate. Aveva camminato per giorni, non sapeva nemmeno quanti; non aveva tenuto conto del tempo che era passato dal giorno della morte di Arthur e non voleva farlo. Il sole splendeva alto nel cielo, la luce passava dalle finestre del castello e i cavalieri vigilavano la struttura. Tutto normale. Chissà, forse sarebbe entrato dentro e avrebbe trovato Arthur sul trono, forse era stato tutto un enorme scherzo.
Con passi pesanti e stanchi si diresse verso le proprie stanze, quando una voce lo bloccò.
"Merlin!"
Non era la voce di Arthur.
"Gwen," disse, secco. La verità è che sapeva che se qualcuno poteva capirlo, quella era proprio lei. Poteva scorgere tutto il dolore nei suoi occhi.
"Oh, Merlin," corse tra le sue braccia, stringendolo forte come non aveva mai fatto prima. La donna cominciò a piangere copiosamente e Merlin avrebbe voluto fare lo stesso, ma non ci riuscì. Il suo dolore era così profondo che pensava di aver finito le lacrime i giorni precedenti ed era stato tutto così forte che gli facevano male gli occhi. Strinse comunque la regina tra le braccia, cercando di farla sentire al sicuro.
"Ho fatto tutto ciò che potevo..." disse con un filo di voce, "mi dispiace."
"Lo so, Merlin," la donna si spostò e appoggiò una mano sulla sua guancia sporca. Merlin avrebbe voluto dirle che una regina non doveva rischiare di sporcarsi, ma sapeva che Gwen non ci stava pensando. Era talmente umile, nonostante tutto.
"Non ci sono riuscito..." mormorò ancora, sentendosi estremamente in colpa.
"Non è colpa tua, Merlin. Non potevi fare niente. Adesso vai da Gaius, ti aspetta da giorni ed è davvero molto preoccupato," la mano di Gwen scese sulla sua spalla, rassicurante. Merlin sforzò un sorriso, ma la verità è che non avrebbe sorriso per molto, molto tempo.
Camminando per andare verso le stanze di Gaius, incrociò Leon, il quale fece un'espressione sorpresa nel vederlo.
"Merlin," disse, con una certa veemenza nella voce. Merlin sforzò una smorfia con le labbra e Leon si fermò.
"Mi dispiace..." sussurrò il cavaliere, avvicinandosi a lui. Forse avrebbe voluto abbracciarlo, ma il giovane mago non glielo permise. Non voleva davvero essere toccato da nessuno, in quel momento.
"Grazie," rispose soltanto, facendo un cenno con la testa e riprendendo a camminare.
Aprì la porta e trovò Gaius curvo sulla sua scrivania, stava leggendo un libro ma non sembrava molto concentrato.
L'anziano si alzò di scatto - per quanto possibile,- e corse verso di lui senza dire una parola.
"Merlin..." anche lui disse il suo nome, ma con la voce spezzata di chi era stanco. "Ti ho aspettato per giorni."
"Mi dispiace averti fatto preoccupare Gaius," rispose, stringendosi nelle spalle.
"Ti preparo un bagno caldo figliolo..." disse l'uomo, rimanendo lì. Merlin si avvicinò per abbracciarlo e stringerlo. Per lui, poteva farlo.
"Ho fallito Gaius, ho fallito... Lui è morto lì, tra le mie braccia, non ho potuto fare niente," singhiozzò. Le lacrime avevano ripreso a sgorgare dai suoi occhi. Non era riuscito a farlo con Gwen forse per stanchezza o forse per preservarla. Ma Gaius era praticamente come un padre e poteva sentir scivolare via tutta la propria angoscia tra le sue braccia. Era la stretta rassicurante di una persona che lo faceva sentire a casa.
"Hai provato a fare tutto ciò che potevi, Merlin. Non devi rimproverarti niente..." Merlin poté giurare di sentire la sua voce rotta dal pianto. Arthur sarebbe davvero mancato a tutti.
"Ho visto Arthur Pendragon crescere, l'ho visto diventare da un ragazzino viziato e privilegiato, un uomo umile e buono, un re giusto e questo, Merlin, è stato soprattutto grazie a te. Adesso la pace regnerà ed è per ciò che tu ed Arthur siete riusciti a compiere insieme."
Merlin scosse la testa.
"C'erano ancora così tante cose che poteva fare, così tante cose che potevo dirgli..."
"Lo so, Merlin. Sicuramente la sua ora è giunta troppo presto, ma tu non devi rimproverarti niente. Hai fatto tutto ciò che era necessario, tutto ciò che potevi. Sei stato un ottimo consigliere, servitore e amico."
"Avevo paura di deluderlo, ma poi l'ha capito e ha accettato. Ha accettato la mia magia, Gaius. Avrei potuto farlo tempo fa, ma non ne ho avuto il coraggio. Avrei potuto dirglielo."
"Hai agito saggiamente, Merlin. Parlare della tua magia poteva non essere sicuro non solo per Arthur ma anche per tutti gli altri che avrebbero potuto darti la caccia. E' stato giusto così..."
Abbassò lo sguardo e si guardò le mani, erano ancora sporche di terra.
"Adesso è il caso che tu ti dia una sistemata, credo che adesso più che mai tu debba assistere Gwen. Lei ha bisogno di te e forse tu hai bisogno di lei."
"Non lo so, Gaius. Non so quanto riuscirò a rimanere a Camelot senza Arthur."
"Dovrai farlo. Arthur non avrebbe mai voluto che tu abbandonassi Gwen, lo sai."
"Forse," scosse la testa, "ma il mio destino era Arthur, era la nostra vita insieme. Adesso niente ha più senso," si lasciò andare su una sedia lì vicino. Il mentore rimase in silenzio, guardandolo con aria triste. Merlin sapeva che Gaius non aveva torto, ma in quel momento voleva soltanto essere egoista e non pensare a nessun altro se non a se stesso.
"C'erano davvero tante cose che volevo dirgli..." sussurrò ancora, e dalla tasca sfilò il sigillo reale di Ygraine, Arthur glielo aveva regalato tempo prima, quando stavano andando in battaglia a sconfiggere i Dorocha.
"Ma quello..."
Merlin alzò lo sguardo.
"Questo è lo stemma della famiglia reale da parte della madre di Arthur, sì. So cosa significa, ma non lo sto facendo vedere per questo... lo tenevo sempre con me, Gaius. E' uno dei tesori più preziosi che ho. Quando me lo ha dato, ho sentito che mi stava dando un pezzo della sua vita, del suo cuore."
L'uomo annuì.
"Teneva davvero molto a te, Merlin."
"Lo so, ed io a lui."
"Molto più di quanto non si potesse immaginare, vero?" Gaius si sedette su uno sgabello, guardando Merlin con aria di chi sapeva.
Il giovane uomo annuì. "Sì, molto più di quanto chiunque potesse immaginare. Arthur era... tutto ciò per cui valeva la pena vivere."
"Ma tornerà, lo sai. Re una volta e re per sempre."
"Sì, ma quando. Quanti anni dovrò aspettare?"
"Non ci è dato saperlo," rispose Gaius, scuotendo leggermente il capo. "Immagino che potrai solo aspettare."
E Merlin sapeva che il suo vecchio mentore aveva ragione, ma aveva paura che quell'attesa sarebbe stata davvero troppa anche per lui.
Merlin non uscì dalla sua stanza per i successivi quattro giorni.
Gwen andò spesso a chiedere di lui, ma Gaius ogni volta rispondeva che ancora non se la sentiva.
"E' troppo presto," diceva, e Merlin poteva sentirlo dalla porta. Era rannicchiato sul suo letto, con le gambe tirate al petto. Rigirava tra le dita lo stemma di Ygraine.
"Che devo fare..." sussurrava, a volte a voce alta, a volte nella sua testa. Il suo destino era compiuto. La pace regnava a Camelot, Morgana era morta. Non c'era più la voce di Arthur a chiamarlo, sgridarlo, non c'era più chi aveva costantemente bisogno di lui. Non c'erano più le sue mani sulle proprie braccia e sulle spalle, non c'erano più i suoi occhi azzurri e il sorriso sempre così ampio, solare. Non c'era più il suo odore e forse era la cosa che gli mancava di più. Sapeva che ogni uomo era completo da solo, ma lui, senza Arthur, si sentiva incompleto.
Strinse ancora di più le gambe al petto e rimase a letto anche quel giorno, il quinto giorno.
Prima che Merlin decidesse effettivamente di alzarsi e andare di nuovo nel mondo passarono due settimane. Qualche volta si era allontanato da solo nella foresta e qualche altra volta aveva cercato di aiutare Gaius a produrre qualche medicinale. Tuttavia, dalla morte di Arthur non aveva più praticato la magia, nemmeno mezzo incantesimo. Senza di lui non aveva più senso farlo.
In qualche modo era come se non fosse più lo stesso; e non perché aveva letteralmente "seppellito" l'uomo che amava, ma perché qualcosa nel suo intero essere era cambiato. Un pezzo di lui non c'era di più, era qualcosa di tangibile e poteva sentirlo chiaramente.
Fu convocato da Gwen quel giorno. Merlin fece un piccolo inchino e la donna scosse la testa.
"Ci potresti lasciare soli?" chiese, rivolgendosi a Sir Leon, il quale si congedò con un mezzo sorriso.
"Merlin..." la donna si alzò dal trono e con portamento regale si avvicinò a lui, camminando piano. "Io capisco la tua sofferenza."
"Lo so, Gwen."
"Ma Camelot ha ancora bisogno di te," sorrise, buona, come sempre. Appoggiò entrambe le mani sulle sue spalle, costringendolo a guardarla.
"Non vedo in che modo potrebbe aver bisogno di un umile servo," rispose, con un sorriso amaro.
"Sappiamo entrambi che non sei solo questo."
Merlin dischiuse appena le labbra, vagamente stupito.
"Lo sai."
"Sì, lo so. Ma non è importante, Merlin. Ciò che conta è quel che hai fatto per Arthur per tutta la tua vita. Ciò che conta è che gli sei stato fedele fino alla morte e che non lo hai mai abbandonato. Oh, Merlin. Hai fatto così tanto per lui, rischiato la tua vita, nascosto la tua magia... Perché? Solo per lealtà?" chiese poi, cercando di indagare. E Merlin la poté sentire scrutare quasi direttamente nel suo cuore. Si fermò e non rispose immediatamente, ma suppose che la donna avesse già capito la sua possibile risposta.
"So che sai che non è solo per questo," Merlin intrecciò le braccia dietro la schiena, raddrizzando le spalle e assumendo una postura un po' più rigida, forse imbarazzata.
Lei sorrise appena, "lo amavi almeno quanto me, vero?"
Merlin si sentì sprofondare; non lo aveva mai detto a voce alta. Anzi, non lo avrebbe mai detto se non fosse stata quell'occasione a far sì che l'argomento venisse fuori e tra tante persone, di certo non avrebbe mai pensato di dirlo a Gwen.
Sì, certo che lo amava almeno quanto lei, forse anche di più, ma quello non poteva certo dirlo, perché non poteva avere la presunzione di capire quanto fosse profondo il suo sentimento.
"Lo amavo come non ho mai amato nessuno in vita mia," ammise, con lo sguardo basso, per poi alzarlo verso quello di Gwen. Incontrò i suoi occhi, che per qualche ragione, sembravano essere vagamente lucidi. "Avrei dato tutto per lui. Non volevo niente in cambio, soltanto... soltanto la sua compagnia, la sua felicità. Ogni giorno, ogni santo giorno," si morse il labbro inferiore e si passò una mano sul volto. Non voleva piangere.
"Lo sapevo," rispose Gwen, comprensiva. Accarezzò il suo braccio. "Per questo, Merlin, ti chiedo di essere al mio fianco. Nessuno più di te può capirmi, nessuno amava Arthur quanto lo amavamo noi..." Merlin non rispose, osservò solo la sua mano muoversi sul proprio braccio come per rassicurarlo. La verità è che in un impeto di rabbia avrebbe voluto scacciarla e dirle che no, non lo amavano allo stesso modo, lui lo amava sicuramente di più. Ma sapeva che era un pensiero più che egoista e che non aveva alcun senso. Certo che Gwen amava Arthur quanto lui lo aveva amato, non aveva senso la sua rabbia.
"Cercherò di fare del mio meglio," Merlin fece un cenno col capo. Si chiedeva cosa aveva mai provato Gwen a stare tra le braccia di Arthur, ad essere ricambiata da lui. A quel punto, avrebbe almeno voluto dirgli ciò che provava prima di vederlo morire, ma ormai era fatta.
"Non ne dubito che lo farai. E... comunque," Gwen si allontanò un poco, "anche se non lo ha mai detto, sono sicura che anche il suo cuore fosse diviso in due," spiegò, rivolgendo lo sguardo alla finestra. La sala del trono era illuminata dalla calda luce del sole e tutto sembrava più morbido, anche quell'affermazione.
"Che intendi dire?"
"Anche se non lo ha mai confessato, sono sicura che anche lui ti amasse. Non so spiegarti in che modo, ma sono certa che sia così."
Il fiato di Merlin si sospese per qualche secondo e una fitta lo colpì all'altezza dello stomaco.
"Tu venivi prima di qualunque cosa, Merlin. Quando ha sentito la tua voce nella sua testa la notte della battaglia, non ha esitato nemmeno per un secondo. Non sapeva che eri un mago, ma forse nel suo profondo non era importante averne la certezza. Lui avrebbe fatto qualunque cosa, se gliel'avessi detta tu," spiegò, "e forse, ti assicuro, non avrebbe mai ascoltato nemmeno me in quel modo."
"Non è totalmente vero..." controbattè Merlin, passandosi una mano dietro la nuca, imbarazzato.
"No, forse non lo è. Tuttavia sono abbastanza sicura di ciò che dico. Si sarebbe gettato nelle fiamme per te e lo sai anche tu. Adesso dobbiamo regnare insieme, Merlin. Nessuno più di noi due può condurre Camelot alla prosperità e mantenere ciò per cui Arthur si è sacrificato."
Merlin sapeva, in cuor suo, che la regina aveva ragione. Su tutta la linea, naturalmente.
Fece un respiro profondo e annuì.
"Va bene."
"Naturalmente non posso incoronarti re, ma voglio che tu sappia che ho una profonda stima di ciò che mi consiglierai e sono disposta a parlare con te come avrebbe fatto Arthur," disse, acquisendo un tono serio, regale. Il giovane mago annuì.
"Ti aiuterò," disse, chinando appena il capo.
"Grazie, Merlin. Grazie di cuore."
Il mago fece un leggero inchino e voltò le spalle, pronto ad uscire dalla sala del trono. Non voleva vedere per più di altri cinque minuti quella sedia vuota. Era troppo da sopportare.
Se davvero i loro destini erano intrecciati come si diceva in giro, allora Merlin doveva capire che senso aveva la vita per lui in quel momento.
Seduto sulle rive del lago di Avalon, lanciava piccoli sassolini nell'acqua, un po' sovrappensiero, un po' arrabbiato. Per qualche stupida ragione, sperava che forse, sasso dopo sasso, Arthur sarebbe uscito dall'acqua e l'avrebbe insultato, dicendogli che un servitore non si sarebbe dovuto permettere di lanciare così tanti sassi in testa al suo re. Tuttavia, ovviamente, non successe. Anche perché non c'erano pericoli imminenti, pertanto la profezia non sarebbe risultata vera.
Sospirò, buttando la testa sulle ginocchia e ricominciando a piangere silenziosamente, come faceva ormai piuttosto spesso.
Merlin, che era sempre stato gioioso e solare, si stava lentamente chiudendo in se stesso, sempre meno disposto a cercare l'aiuto del prossimo. Sapeva che il suo destino era importante, ma in quel momento anche se era vivo, si sentiva totalmente senza uno scopo.
"Che devo fare..." sussurrò, con la testa tra le gambe e le braccia a circondarla. "Hai sempre amato darmi ordini... cosa devo fare, Arthur. Io non posso sopportare tutto questo," disse, a mezza voce, mentre le lacrime continuavano a scorrere giù, lungo le sue guance.
Poté sentire il vento accarezzarlo. Fu una sensazione strana, ma era come se qualcosa di fresco si fosse impigliato tra i suoi capelli, alzò la testa e non vide nessuno. Il vento gli stava accarezzando le guance, era concentrato su di lui. Che fosse magia?
"Arthur..." sussurrò, rivolgendo uno sguardo verso il lago. Forse era da pazzi, ma ne era sicuro, quello era un cenno.
Il suo cuore si riempì di una gioia momentanea, provando un calore quasi accessivo che si propagava tra il petto e lo stomato. Vi appose le mani, stringendosi la casacca sull'addome.
"Arthur."
Negli anni successivi, Merlin aiutò davvero Gwen a governare Camelot. Gwen fu un'ottima regina, come previsto da tutti. Severa, sì, ma ottima. Riuscì a tramandare degnamente l'eredità di Arthur, insegnando la compassione e reintroducendo la magia nel regno, grazie all'aiuto di Merlin.
L'ingresso della società magica a Camelot fu graduale e molti che la possedevano tendevano ancora a nascondersi. Tuttavia, la notizia che il servitore della regina detenesse dei poteri magici, fu una cosa che creò un certo scandalo e anche sollievo. Merlin divenne presto una leggenda, a Camelot. Un esempio da seguire. Il simbolo della magia buona.
Merlin era felice di quei progressi e sapeva che anche Arthur lo sarebbe stato. Gwen decise di non risposarsi con nessuno, ma per Merlin fu lampante e nemmeno troppo difficile da intuire, che tra lei e Sir Leon, fosse nato qualcosa. Probabilmente avevano deciso di tenerlo nascosto per il regno, o forse per vergogna stessa. A Merlin non importava particolarmente.
Dal canto suo, gli anni passavano e il suo corpo invecchiava comunque sempre troppo lentamente, mentre vedeva le persone a cui voleva bene morire poco a poco. Gaius, ovviamente, fu il primo.
Aveva sempre immaginato di condividere un giorno come quello con Arthur, ma la verità era che non voleva passarlo con nessuno dei presenti. Gaius era stato come un padre. Lo aveva accolto, cresciuto, accudito. Era stato un mentore, gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva e non aveva mai giudicato nemmeno per un secondo la sua natura di mago. Lo aveva protetto ai tempi di Uther e il suo consiglio era qualcosa che lo aveva portato ad essere chi era.
Merlin sapeva bene che da quel momento in poi, qualcosa sarebbe cambiato ulteriormente.
Era il corso naturale delle cose, il patto per cui lui, in quanto creatura magica, non avrebbe potuto fare la stessa fine.
Molte volte si era ritrovato a chiedersi se ci fosse un rimedio una pozione, un incantesimo, qualcosa che potesse addormentarlo fino ad un eventuale risveglio di Arthur - cosa che non era nemmeno certo potesse davvero avvenire. La risposta sembrava non arrivare mai e, col tempo, si sentiva sempre più arido e scontroso nei confronti dell'intero universo. Il suo cinismo stava toccando vette inaspettate.
Per un po' aveva anche smesso di tornare al lago di Avalon, dove solitamente andava per parlare con Arthur. Si sedeva per terra e fissava l'isola in mezzo al lago. Qualche volta gli raccontava delle sue giornate, qualche altra volta lo pregava di ritornare e, in altri sporadici momenti, si arrabbiava con lui. Cominciava ad inveirgli contro senza una ragione precisa, perché gli mancava così tanto da farlo sentire davvero arrabbiato.
"Potresti anche degnarti a tornare," sussurrò una volta, con le mani in tasca e calciando un sasso nel lago, "come dovrei continuare a stare qui senza di te, mh? Gwen è una bravissima regina, ma è vecchia. Morirà senza eredi e a prendere il trono sarà un tuo parente, uno di quelli che Camelot l'ha vista sempre e solo da lontano, davvero vuoi questo?" borbottò. Razionalmente sapeva che sarebbe stato tutto inutile, che le sue imprecazioni di certo non avrebbero riportato in vita il re.
Andò via dal lago, lasciando lì, come sempre, anche la sua speranza.
Battaglie e guerre si susseguirono nei secoli successivi e Merlin, ogni volta, sperava di veder tornare Arthur per quelle occasioni. Dove poteva esserci bisogno di lui se non in momenti del genere?
Durante la prima guerra mondiale, Merlin si ritrovò a fare da medico in numerose occasioni. La verità è che la maggior parte dei soldati non sapevano dei suoi poteri, ma lo definivano "un medico miracoloso". Merlin avrebbe voluto semplicemente accettare quella definizione senza alcuna amarezza, ma la verità era che la sua vita eterna sembrava condurlo solo laddove c'era la morte. Non riusciva a vedere nient'altro se non la storia ripetersi come un ciclo infinito di disgrazie ed errori dell'uomo, dove cercava, con il proprio egoismo, il prossimo bersaglio da colpire. Per soldi, per potere, per supremazia. Qualunque fosse la ragione, non sembrava più esserci il desiderio di unione. C'erano stati grandi uomini capaci di riportare la pace - forse grandi quanto Arthur. Ma nessuno sembrava riuscire a farla durare per più di un determinato periodo.
Adattarsi alla vita moderna non era stato semplice. Aveva viaggiato molto, potenzialmente poteva dire di aver visto quasi tutto il mondo. Si era spostato a piedi, a cavallo, poi in nave, aereo, addirittura in auto - anche se continuava a non apprezzare poi moltissimo quei mezzi di trasporto.
Lungo il suo immenso viaggio, Merlin aveva portato con sé il fardello del destino. Il suo destino era rimanere vivo per aspettare Arthur. Ma quante vite avrebbe dovuto aspettare ancora perché avessero potuto finalmente vivere felicemente insieme?
E la verità era che ormai Merlin sapeva di essere solo. Non voleva nient'altro che la morte. L'aveva cercata negli angoli più remoti del pianeta, ma senza successo. Chiunque fosse in grado di ucciderlo, sembrava non essere intenzionato a farlo.
"Il tuo destino è più grande di ciò che credi, Emrys."
Ormai, però, erano gli anni quaranta. La seconda guerra mondiale era diventata il cancro di quel periodo e di nuovo, Merlin si era ritrovato a curare soldati e a diferendere intere nazioni, per quanto possibile, grazie alla propria magia. Se il suo destino era quello di salvare l'uomo dalla sua stesa stupidità ed avarizia, non era neanche più sicuro di volerlo fare. Stava mano a mano perdendo fiducia nel prossimo e nessuno avrebbe di certo potuto dargli torto.
Dov'era Arthur quando il mondo aveva bisogno di lui?
Gli anni ottanta sembravano un bel periodo storico. Tutto era così colorato, la musica non era per niente male e almeno da un po' non si vedevano stupidi conflitti mondiali. La pace non regnava certo eterna, la Guerra Fredda era un esempio. Tuttavia, finalmente Merlin sembrava potersi godere un po' di pace dalla follia umana. Doveva ammettere che non ritrovarsi a curare uomini mutilati o sentire schianti di bombe con conseguenti stermini di popolazioni intere, era piuttosto piacevole. Poteva godersi qualche frivolezza della vita, per quanto non fosse così entusiasmante continuare a vivere senza uno scopo.
Merlin non era nemmeno più sicuro dell'esistenza della magia in quel mondo. Lui ancora la possedeva, ma non era più riuscito a trovare nessuno come lui. I draghi sembravano definitivamente estinti - la morte di Kilgarrah era sopraggiunta poco dopo quella di Gaius e Merlin aveva potuto distintamente sentire una frattura dentro di sé che non si sarebbe mai rimarginata - e sembravano proliferare nuovi culti, che però di magia reale ne avevano ben poca. Alcuni erano anche interessanti, ma l'idea della religione era totalmente mutata nel tempo e un modello monoteista che faceva riferimento ad un unico "Dio" sembrava decisamente quello più gettonato. Ma del resto, come la magia, anche la religione era stata frutto di guerre e battaglie. Era stupefacente come l'uomo avesse la fantastica abilità di tramutare in guerra tutto ciò che doveva rappresentare la vita.
Passeggiava per le strade di Glastonbury osservando distrattamente le vetrine dei negozi, quando la notizia arrivò.
Entrò in una caffetteria, indeciso se entrare e prendersi una bevanda calda - aveva cominciato ad apprezzare il caffè da almeno una decina d'anni, dopo un iniziale scetticismo, - quando sentì dietro di lui due uomini disquisire sull'uomo del lago. Alzò gli occhi verso la tv presente nel locale. La tv stava trasmettendo il tg e una donna parlava di un giovane uomo ritrovato.
Uomo del lago.
Merlin si voltò di scatto, spalancando gli occhi. I
"Pare che fosse sulle rive del lago di Avalon, nudo e senza memoria di se stesso."
"Con le droghe che cicolano al giorno d'oggi non sono sorpreso che qualcuno possa fare questo, non vedo cosa ci sia di così notiziabile..." rispose l'altro.
"La notizia è scaturita dal fatto che sulla schiena pare avere tatuato un drago, identico al sigillo dei Pendragon, ma sono solo leggende... potrebbe anche essere qualcuno che ha trovato il sigillo in qualche libro e ha deciso di tatuarselo per fanatismo."
Merlin si guardò intorno, stordito. In tv non era stato inquadrato l'uomo in questione, ma qualcosa dentro di lui aveva appena acquisito consapevolezza.
Quella mattina era come se il mondo fosse tornato a parlargli di nuovo. Non c'era più soltanto l'energia della natura, la sua essenza, l'intero universo era ritornato a far parte di lui. Una frattura che per secoli aveva sentito dentro di se, stava lentamente sparendo.
Non poteva essere quello, però. Doveva essere solo una strana impressione. Una sensazione. Se Arthur fosse risorto proprio in quel momento non avrebbe avuto alcun senso logico, vista la situazione storica. L'unico che avrebbe avuto bisogno della sua presenza nel mondo, al massimo, era proprio lui.
Merlin uscì di fretta e furia dalla caffetteria e qualcuno lo guardò stordito. Aveva fatto uno scatto troppo veloce per essere un vecchio e Merlin ogni tanto si dimenticava dell'aspetto che aveva scelto di assumere per vivere in quell'epoca. Erano anni che si era rinchiuso nel corpo di un vecchio, forse per dire a se stesso che il tempo passava anche per lui, forse perché realmente quella era la sua forma. Non avrebbe comunque voluto farsi vedere da Arthur così, se davvero fosse tornato.
Non sapeva bene come sentirsi. Se si fosse soltanto illuso avrebbe fatto troppo male, ma la sensazione che aveva nel petto gli faceva pensare che no, non poteva essere soltanto una flebile illusione, doveva essere lui.
Le lacrime cominciarono a sgorgare dai suoi occhi senza nessun motivo apparente per chi gli passava accanto. La sua faccia non era corrugata né dal dolore, né dal pianto stesso. Erano semplicemente lacrime di commozione.
Quando arrivò al lago di Avalon, ovviamente non trovò nessuno. Erano mesi che non tornava lì davanti. C'erano stati periodi in cui non aveva fatto nient'altro, ma nell'ultimo periodo aveva convinto se stesso a non farlo. Beh, era logico, dovevano aver rimosso il corpo e averlo portato da qualche parte. Forse in ospedale.
Ma come avrebbe potuto raggiungerlo?
Il vento gli scompigliò i capelli e sembrò parlargli.
"Emrys..." una voce lo costrinse a voltarsi. Non veniva chiamato così da troppo tempo. Non c'era nessuno.
Probabilmente il suo cervello gli stava giocando ulteriori scherzi e stava definitivamente impazzendo, sembrava una spiegazione tutto sommato plausibile considerando come stava vivendo quegli ultimi anni. Qualche volta si era ritrovato a passare le serate - con un aspetto da giovane - in quelle discoteche che i ragazzi tanto amavano. Aveva provato anche qualche droga - che però sembrava non aver sortito effetti su di lui, almeno fino a quel momento. Magari stavano agendo con un po' di ritardo.
No, ne era sicuro, non c'entrava nessuna droga. Era magia.
"Emrys... lui è tornato," un sussurro.
"Freya..." si voltò verso l'acqua e gli occhi tornarono umidi di nuovo, "Freya, sei tu."
"Merlin, il tempo è giunto. Devi ricongiungerti con il re," Merlin corse scompostamente verso l'acqua, quasi scivolando sul terreno fangoso. Si affacciò verso di essa e poté vedere il riflesso di Freya. Il suo cuore sprofondò. Erano secoli che non vedeva qualcuno a cui aveva voluto bene e non era sicuro di poterlo reggere. Si strinse nel cappotto, mentre brividi di freddo lo percorrevano con potenza, scuotendolo.
"Non farlo attendere, Merlin."
"Io... dove posso trovarlo?" cadde in ginocchio, bagnandosi completamente i pantaloni. Faceva freddo, veramente freddo.
"Sarà lui a trovare te, Emrys," rispose il riflesso, sorridendogli, "abbi fede. Non hai mai perso la speranza e la pazienza, non farlo adesso."
Merlin avrebbe voluto ribattere: la pazienza l'aveva persa molte volte, all'incirca tutte quelle in cui si era ritrovato a piangere e urlare di notte e inveire contro il lato, o quando viaggiava da un contiente all'altro chiedendosi dove sarebbe potuto andare e cosa avrebbe dovuto fare per meritarsi un suo ritorno.
Imprecò interiormente.
"Lo so che è difficile, ma non dovrai aspettare molto. Aspettalo, lui ora è tornato per te..."
Il riflesso di Freya scomparve, lasciando posto al proprio. Aveva un aspetto pessimo.
"Va bene," borbottò, chiudendo gli occhi e sussurrando delle parole. Quando li aprì di scatto si illuminarono di un colore dorato e il suo aspetto tornò quello di un giovane trentenne. Non ricordava più cosa significasse non avere i capelli lunghi e bianchi e la barba, erano almeno due mesi che non assumeva di nuovo quell'aspetto giovane. Lo aveva fatto soltanto la volta che era andato in una discoteca del paese. Voleva provare l'esperienza e non lo aveva particolarmente entusiasmato - si chiedeva davvero cosa ci fosse di divertente nel dimenarsi a ritmo di musica e assumere droghe che toglievano la percezione della realtà, ma forse non poteva capirlo perché non era la sua epoca e quelle sostanze non avevano davvero effetto su di lui.
Si alzò in piedi. Le sue gambe erano bagnate, con un incantesimo si asciugò i vestiti e cercò di renderli puliti. Avrebbe dovuto sicuramente indossare qualcosa di più consono per il ritorno di Arthur, qualcosa di giusto per l'occasione. Si sentiva agitato come una ragazzina e la cosa non era minimamente accettabile considerando la sua reale età, ormai.
Freya aveva detto che Arthur si sarebbe palesato di fronte a lui, ma Merlin si chiedeva impazientemente quando. Tra due giorni? Due ore? Insomma, era piuttosto vaga come affermazione e lui fremeva. Aveva aspettato per così tanto tempo, la sua esistenza aveva perso il senso con la sua morte. Aveva dovuto attraversare così tante situazioni senza di lui e doveva raccontargli tutto. Magari avrebbe anche potuto dargli uno schiaffo perché si era fatto attendere così tanto. Ma no, ovvio che non potesse schiaffeggiarlo, perché comunque lui era ancora il re. Non sapeva bene di che cosa, ma in fondo doveva esserlo.
Il suo cuore fremeva, così come le proprie labbra tremavano appena, dall'emozione, dal freddo. Si sentiva carico di adrenalina, voleva correre, voleva fare così tanto e gioire, dire a chiunque che Arthur era tornato, che finalmente poteva essere completo con lui.
La promessa era vera, tutti quegli anni di attesa non erano stati vani. Avrebbe potuto piangere per altrettanti secoli. La scorza dura che si era creata attorno al suo cuore stava crollando, lasciando spazio a tutti i sentimenti che aveva represso e che adesso traboccavano da esso.
Come poteva camminare per le strade tranquillamente? Arthur sarebbe potuto essere ovunque; in un negozio, in caffetteria, dietro l'angolo, nella via parallela o magari all'ospedale.
Tuttavia, nonostante le preoccupazioni, Merlin non incontrò Arthur né quel giorno, né quelli seguenti. Passò una settimana e non riuscì a reperire sue notizie, sembrava di nuovo scomparso nel niente e la prima reazione fu provare rabbia. Che per l'ennesima volta, il suo re fosse scomparso di nuovo? Che fosse stato un errore? Che Freya si fosse sbagliata?
Eppure lo sentiva dentro di sé, il re era vivo, era su quella terra e probabilmente non troppo distante. Ne avvertiva l'energia vitale, era inconfondibile ed unica e nonostante fossero passati secoli, ancora poteva carpirne la potenza.
Inoltre, per sua fortuna o sfortuna, Merlin non era portato a dimenticare.
Nonostante la rabbia e la delusione di dover attendere, Merlin continuò a fare la sua vita. Si assicurava il pane sul tavolo ogni giorno facendo assistenza medica. Aveva imparato moltissimo sulla medicina moderna; si era dovuto adeguare e in alcuni casi non era bastato lo studio individuale. Aveva dovuto seguire qualche corso, ma alla fine sembrava tutto abbastanza semplice e, di sicuro, la medicina sembrava essere diventata la cosa più vicina alla magia in assoluto.
Non erano rare, però, le volte in cui si aiutava ancora con qualche trucchetto magico. Alla fine era pur sempre molto utile quando aveva di fronte casi davvero irrecuperabili e, anche per questo, il suo nome si era diffuso presto. Merlin cercava comunque di rimanere il più possibile nell'anonimato e nell'oscurità, ma non poteva esimersi da quel compito; anche ammesso e non concesso che non gliene fosse importato poi così tanto di salvare vite, doveva pur mangiare in qualche modo.
Per qualche secolo aveva vissuto continuando a cacciare - e lo odiava, - o elargendo favori che gli venivano ripagati con vitto e alloggio. Ne aveva vissute tante, ormai, e sulla sua pelle erano incise tutte quelle avventure anche se non si potevano vedere. Nella sua mente erano ancora più visibili e i suoi atteggiamenti erano frutto di quei secoli passati a sopravvivere.
Quel giorno decise di uscire mantenendo un aspetto da trentenne. O meglio, era da quando aveva saputo che Arthur era tornato, che non acquisiva la sua vera forma. Aveva anche deciso di lasciarsi crescere un poco di barba, giusto per apparire un po' meno ragazzino e un po' più adulto. Di fatto gli conferiva un'aria più seria.
Lasciò il suo piccolo appartamento e scese in strada, camminando distrattamente verso la sua caffetteria preferita. Non riusciva a crederci, un'intera settimana e di Arthur nemmeno l'ombra. Fissò insetentemente i propri piedi, finché il flusso di pensieri non venne interrotto da un brusco incontro; un uomo si scontrò con lui, dandogli una forte spallata e facendolo barcollare.
"Ehy! Guarda dove vai!" esclamò l'uomo.
Quella voce. L'avrebbe riconosciuta tra mille.
Merlin ci mise due secondi per riuscire a reagire. Alzò lo sguardo verso di lui e non riuscì a credere ai suoi occhi.
"Arthur..." sibilò, impietrito.
L'uomo sbatté le palpebre un paio di volte, fermandosi.
"Come sai il mio nome? Ci conosciamo?"
Merlin si sentì gelare il sangue, il suo corpo cominciò a vivere un conflitto potentissimo: correre da lui o rimanere fermo? Non sembrava averlo riconosciuto. Forse non si ricordava nemmeno chi era. L'eventualità era altissima. Tuttavia, non poteva pensare di rimanere lì, fermo immobile, mentre la persona che completava la sua era di fronte a lui.
"Sì, ci conosciamo," rispose Merlin, a mezza voce, con gli occhi pieni di lacrime. Avrebbe voluto urlare a pieni polmoni che lo aveva aspettato per secoli e che cazzo, quella non era certo una reazione accettabile, ma non poteva farlo.
Si schiarì la gola.
"Non mi ricordo di te," disse, Arthur. Si portò una mano dietro la nuca, colpevole, "beh ma a dire il vero non ricordo quasi niente, quindi..." Merlin fece appello a tutto il proprio autocontrollo per non dire qualcosa di inopportuno.
Notò per un secondo lo sguardo dell'altro offuscarsi e le sue labbra si dischiusero lentamente. Gli occhi si assottigliarono ed alzò un braccio, puntando verso di lui il dito.
"Aspetta... Merlin. Ti chiami così, vero?" chiese, aggrottando le sopracciglia. "Io non so come lo so, ma... sono sicuro che questo sia il tuo nome."
Merlin annuì con veemenza.
"Sì, sì, assolutamente sì. Merlin è il mio nome," si avvicinò a lui, come per abbracciarlo. Si frenò di botto. Solo perché si ricordava come si chiamava non era un'autorizzazione a sbilanciarsi.
"Sembri... sembri veramente familiare, Merlin. Eravamo amici?"
Merlin strinse le labbra e si portò un pugno sulla bocca, cercando di frenare le lacrime.
"Che ne dici di parlarne di fronte ad un caffè?"
Arthur annuì, con faccia sempre più confusa, ma anche incuriosita. Chissà se il sentimento che stava provando era uguale all'emozione che sentiva lui in quel momento scorrere dentro di sé. Era qualcosa che non riusciva più nemmeno a concretizzare, né a dargli un nome. Era amore, senz'altro, ma era talmente profondo che qualunque parole sembrava soltanto banalizzarlo.
Aveva aspettato tutta la sua vita per quel momento e ne aspetterebbe altre cento, pur di vederlo ancora e ancora.
"La storia che sto per raccontarti potrebbe sconvolgerti," cominciò Merlin, tenendo tra le mani una bevanda calda. "Quindi prima di fare domande e tutto il resto ti prego, aspetta che io finisca."
L'altro inarcò un sopracciglio, visibilmente perplesso.
"D'accordo, suppongo che ascolterò. Ormai sto sentendo un sacco di cose strane sul mio conto questi giorni, suppongo che sarai l'ennesimo..."
"Aspetta, in che senso?" Merlin scosse la testa, confuso.
"Beh, qualcuno dice che non esisto in questa terra. Ovvero che non risulto esistente all'anagrafe né registrato da qualche parte. Non so dove sono nato, non ho più niente con me. Se qualcuno voleva resettare la mia vita, presumo ci sia riuscito, non trovi?"
Merlin socchiuse le labbra. Come poter spiegare la completa assurdità della sua vita? Ovvero che, in un certo qual senso, la sua esistenza in quel tempo era frutto della magia? Gli avrebbe quasi sicuramente riso in faccia. Il punto è che Arthur aveva comunque coscienza di sé, sapeva di esistere, sapeva di essere in quel tempo. Dal momento che aveva autocoscienza, era naturale chiedersi cose sulle proprie origini e difficile pensare che avrebbe creduto a una cosa del genere. Non era un bambino, dopotutto, e se si ricordava il suo nome forse sotto sotto c'era ancora la coscienza della sua vita precedente. Era semplicemente come se avesse dormito per troppo tempo.
"Beh è più complesso di così."
"In che senso? Tu che ne sai?"
"Arthur, ti sto per raccontare una storia incredibile. Tu non ricordi davvero niente?"
L'altro scosse la testa, "no, so solo che mi sono ritrovato in riva a quel lago e che poi mi hanno portato in ospedale. Dopo questo si è offerto di ospitarmi uno degli agenti che mi ha ritrovato e... niente di più," spiegò.
"Allora ti devo avvertire, Arthur. Ciò che seguirà ti sembrerà talmente assurdo che non mi crederai, ma ti prego, fai dvavero uno sforzo."
"Sono pronto, credo."
E da lì, Merlin raccontò. Poté vedere più volte l'espressione sul volto di Arthur cambiare. Tramutarsi da stupore in confusione, da confusione in rabbia, come se stesse venendo preso in giro. Lo vide stringere i pugni e Merlin cercò di mantenere la calma ogni volta. Non poteva interrompere il flusso del suo racconto per rispondere alle mille domande o provocazioni che Arthur stava, probabilmente, per lanciargli. Capiva le sue ragioni, sia la sua confusione che la sua rabbia. E Merlin non si aspettava nemmeno che Arthur gli credesse e basta.
Ad un certo punto, Arthur si alzò di scatto.
"Basta, non sono disposto a sentire una parola in più. Mi spieghi per chi mi hai preso? Prendersi gioco di una persona che non ha nessun ricordo... chissà che diamine mi avete fatto, tu e un altro branco di scellerati. E magari vi aspettate pure che io creda a questa valanga di cazzate, ma vai al diavolo," spostò in malomodo la sedia e s'incamminò a passi svelti fuori dal locale.
Merlin alzò gli occhi al cielo, avrebbe dovuto davvero prevederlo. Scattò verso di lui, cercando di bloccarlo.
"Arthur, ti prego. Non chiudere la tua mente, so che puoi ricordare qualcosa e non ci credo che..." lo afferrò per il braccio e Arthur lo strattonò via con forza. "Lasciami." Disse, categorico.
Merlin si sentì sprofondare.
"Senti, lo so che è difficile da accettare. Hai dormito per così tanto, sei scomparso, ma io ti ho aspettato per secoli Arthur. SECOLI. Ho visto morire chiunque, non mi sono auto-indotto il coma soltanto per aspettarti e tu adesso vorresti semplicemente andartene dicendomi che non mi credi? Mi dispiace, ma io non posso accettarlo," gli occhi di Merlin brillarono, mentre dalla mano tesa uscirono delle scintille dorate, le quali formarono un drago. Fortunatamente nessuno stava passando per strada.
Arthur fece un balzo indietro, spalancando gli occhi con aria stupita.
"Cosa-"
"Magia. Quella è magia. E io sono un mago, uno vero."
Arthur aveva reagito così per un motivo ben preciso: Merlin non aveva fatto un drago per caso, era esattamente la figura che gli aveva mostrato la prima volta che gli aveva confessato di essere un mago. Sperava in quel modo di riuscire a portare a galla qualche ricordo, esattamente come aveva fatto per il nome.
Arthur sibilò qualcosa e poi crollò a terra, inginocchiandosi e portandosi entrambe le mani alla testa.
Merlin lo guardò confuso.
"I-io... ho avuto delle visioni," rispose, a mezza voce. "Ho visto... ho visto te e me, ma non in questo tempo. Io... avevo un'armatura e una spada, avevo appena combattuto una guerra e... stavo morendo," alzò gli occhi verso Merlin. Uno sguardo blu, profondo e spaurito. Le labbra tremavano appena, era quasi impercettibile.
Merlin si inginocchiò davanto a lui, mettendogli le mani sulle spalle.
"E' tutto vero, Arthur. Sono i tuoi ricordi, stanno affiorando."
I suoi occhi sembravano di vetro, così spalancati e così disorientati.
"Non può essere... non... non ha senso niente di tutto ciò."
"Lo so, è normale che per te non ne abbia, ma ti assicuro che è tutto perfettamente... programmato. Ancora non so dirti perché tu sia tornato adesso, Arthur. Per tua fortuna hai saltato delle fasi complesse di questo mondo, ma evidentemente adesso c'era di nuovo bisogno di te."
"Io non credo di poter reggere tutto ciò," mormorò, scuotendo la testa, "non so nemmeno come possa avere senso..."
"Cosa?"
"Uscire da un lago e ritrovarsi qui, senza memoria, con te che parli di magia, me la mostri, io che ricordo cose di una vita passata e chissà se sono veri o..."
Merlin si spanzietì, spostandosi un poco da lui.
"Smettila di mettere in discussione le mie parole, Arthur. Perché dovrei mentirti?! Hai idea per quanto tempo io abbia aspettato questo momento? Hai idea per quanto tempo io abbia aspettato te? Ho visto questo mondo crollare e rimettersi in piedi un'infinità di volte, uomini ripetere errori e battaglie, malattie propagarsi a macchia d'olio, persone morire sotto i miei occhi. Persone che amavo, alcune. Una lunga lista, potrei anche aggiungere. E tu ora arrivi e nonostante l'evidenza non vuoi nemmeno credere a ciò che ti sto dicendo?!" esclamò, innervosito.
Arthur strinse le labbra, aggrottando le sopracciglia e guardandolo contrariato.
"Non è quello che ho detto."
"Invece sì, Arthur Pendragon. Magari nei tuoi ricordi riaffiorerà il Merlin che avevi conosciuto, ma non sono più quella persona e non sono disposto ad ascoltarti mentre non mi credi o respingi ciò che sono..."
Lo sguardo dell'altro uomo mutò, ammorbidendosi un poco, mentre le sue labbra si separavano appena.
"Io..."
"Quindi ti chiedo almeno di finire di ascoltare la nostra storia, prima di saltare a una qualunque conclusione."
Arthur si alzò di nuovo, spazzolandosi appena le ginocchia con le mani.
"Andiamo in riva al lago?"
Merlin annuì e si incamminarono insieme verso il lago di Avalon. Merlin sperava, in cuor suo, che potesse essere utile al re per ricordare qualcosa sulla sua vita passata.
Quando il mago terminò i racconti, ormai il sole era tramontato da un pezzo. Il crepuscolo aveva preso il suo spazio nel cielo, tinteggiandolo di blu scuri intrisi di viola. Era una bella serata.
"Non penso basterebbe una settimana per raccontarti ciò che manca, o forse non basterebbe una vita intera" spiegò infine, Merlin. Arthur, alla fine, era rimasto ad ascoltarlo tutto il tempo. Poté quasi giurare di aver scorso nei suoi occhi dei barlumi, forse di ricordi. Li aveva captati.
"Come hai fatto?" chiese soltanto, Arthur. Le luci dei lampioni illuminavano il suo volto, che improvvisamente sembrava davvero molto pallido.
"A fare cosa?"
"Ad aspettare tutto questo tempo..." disse, guardando Merlin negli occhi. Le sue mani erano unite, le teneva in grembo, come a proteggersi da qualcosa.
Merlin scosse la testa, sorridendo mestamente.
"Ti sorprenderebbe sapere quante cose sono disposto a fare per te."
Arthur inarcò le sopracciglia.
"Direi che aspettarmi per un'eternità è già di per sé un bel prezzo da pagare."
Merlin reclinò la testa di lato, divertito.
"Sì beh, diciamo di sì."
Voleva dirgli che in realtà tutte quelle cose le aveva fatte per amore. Nessuno avrebbe aspettato così tanto una persona, altrimenti. Nemmeno lui.
"Il destino ha sicuramente influito," aggiunse poi, alzando gli occhi verso il cielo, come alla ricerca di qualcosa. Kilgarrah sarebbe stato molto fiero di lui, probabilmente.
"Non avrei saputo aspettare così tanto," rifletté, Arthur.
"Sono sicuro che avresti trovato il modo. Però posso confermare che non è sempre stato facile, ci sono state volte in cui avrei voluto addormentarmi e non risvegliarmi per un po', ma non potevo sapere quando saresti tornato e io non potevo permettermi di perderti."
Arthur gli sorrise, dolcemente. Era il primo che gli vedeva fare a quel modo da così tanto tempo. Il suo cuore si scaldò, ricordando le volte in cui gli donava quegli sguardi ormai troppo tempo fa. Erano quasi svaniti dalla sua memoria, fortuna che forse poteva collezionarne di nuovi, finalmente.
"Dovevamo davvero essere molto uniti," asserì Arthur, guardandolo un po' più serio. Giustamente anche se credeva ai suoi racconti, non poteva ricordare i sentimenti. Merlin annuì piano, provando una fitta di amara consapevolezza di fronte a quell'affermazione: forse avrebbe dovuto ricostruire da zero tutto il rapporto con lui. Non sapeva se era pronto. E se non ci fosse più stata la solita complicità? Lui era cambiato moltissimo, in fondo.
"Lo eravamo," rispose, semplicemente. Arthur annuì piano e si guardò intorno.
"Beh... io non credo di ricordare bene tutto ciò a cui hai fatto riferimento, sai. Ho come dei flash e beh... non so di preciso che tipo di rapporto avessimo quando, emh, sono morto. Da ciò che descrivi era molto intenso e io sono sicuro che sia così perché sto provando un senso di familiarità che non ho sentito verso nessuno da quando ho aperto gli occhi e ho preso consapevolezza di essere vivo," spiegò, facendo le spallucce. "Mi dispiace non poterti dare di più."
Merlin si chiese il perché di quella frase. Forse Arthur aveva visto della malinconia nel suo sguardo? O magari era la frase che aveva detto?
Di certo comunque non voleva farlo sentire in colpa per non ricordarsi tutto. Anzi, era già sufficiente che gli credesse, almeno.
"Non preoccuparti," rispose Merlin, pacato. "Credo che per oggi tu abbia già dovuto ascoltare abbastanza."
"Oh sì, decisamente. Faccio ancora un po' fatica a credere a tutto ciò che mi hai detto, in completa onestà..." assottigliò lo sguardo, "ma so che non menti. Ho avuto dei flash, dei piccoli ricordi e... per la prima volta delle frasi non mi sembrano totalmente assurde anche se lo sono. Certo sono quasi convinto che domani mattina mi sveglierò e scoprirò che è stato tutto un sogno."
"Ne dubito," Merlin si alzò in piedi, "in ogni caso, si sta facendo tardi e umh, il tuo coinquilino sarà preoccupato per te?" chiese, passandosi le mani sui pantaloni per togliersi eventuali residui di terra.
"Penso sia a lavoro. E' stato molto gentile ad accogliermi ma vorrei trovare una sistemazione quanto prima... continuo a sentirmi tremendamente fuori posto."
Il che aveva tremendamente senso, non essendo il suo tempo.
"Ti sei adeguato velocemente a vivere qui? A tutto ciò che fa parte di questo mondo?" chiese Merlin, incuriosito. In effetti Arthur non sembrava spaventato da nessuna cosa tecnologica. Ma in effetti, sembrava già essere dotato di una coscienza e codice comportamentale adatto a quell'epoca.
Che la magia avesse pensato anche a quello? Non sarebbe stato strano.
"Beh sì, era come se la mia mente già sapesse. Come se avessi già un trascorso su questa terra, per questo non riuscivo a crederci quando parlavi di una vita passata e... del fatto che io non avessi mai vissuto qui."
"Però?"
"Però, in effetti, non ho amici. Nessuno ha memoria di me e comunque sia sembra che io non sia mai esistito finché non sono uscito dal quel maledetto lago e... sulla schiena ho un tatuaggio che sembra simuli lo stemma dei Pendragon," concluse, dando un'occhiata all'indietro.
"Beh Arthur, direi che dopo che ti ho raccontato la storia non ci sono più molti dubbi, no?"
"Vorrai scherzare. Io ne ho almeno altri duecento, di dubbi. La tua... nostra storia ha aperto almeno un'altra ventina di domande."
Merlin si mise le mani sui fianchi.
"Credo che tu debba soltanto riposare per stasera e poi ne riparleremo, non trovo abbia molto senso continuare a discutere finché tu non riuscirai a convincerti e almeno metabolizzare queste notizie."
Sapeva che Arthur voleva delle risposte concrete, ma la verità era che Merlin gli aveva detto tutto ciò che poteva e sperava di essere stato anche abbastanza chiaro, per quanto magari potesse sembrargli tutto assolutamente assurdo.
"Ti riaccompagno a casa," si offrì poi, il mago. "Dove abiti, quindi?"
Arthur tossicchiò, forse imbarazzato.
"Non troppo lontano da qui, vieni, ti guido io," rispose, tagliando corto. Non sapeva i nomi delle vie, era naturale. Come poteva, non avendo davvero vissuto lì?
Quando arrivarono sotto la temporanea casa di Arthur, Merlin gli sorrise. Non voleva davvero lasciarlo andare per la notte e sapeva che non era un pensiero razionale, ma la paura di perderlo di nuovo ora che l'aveva ritrovato, era davvero tanta. Fece appello a tutto il suo buon senso per non chiedergli di andare a casa con lui - anche perché, dopo così tanto tempo, Merlin non sarebbe riuscito a controllare l'irrefrenabile voglia di stringerlo a sé e non lasciarlo andare mai più.
"Beh allora... buonanotte Merlin," disse Arthur, infilandosi le mani nelle tasche e facendo una mossa col corpo un po' imbarazzata. Merlin si morse il labbro inferiore, senza rispondere.
"Io vivo in fondo alla strada," rispose Merlin, prima di lasciarlo andare. Puntò il dito e una scia magica sgorgò da esso, "ecco, vedi dove finisce? devi svoltare a destra, il numero quarantadue sarà casa mia," spiegò il mago, muovendosi nervosamente sulle gambe. La verità era che voleva davvero farlo andare da lui e non separarsene più, ma era piuttosto ovvio che Arthur non fosse dello stesso avviso.
"Aspetta," disse poi, prendendo dalla propria tasca un cristallo. Lo guardò e i suoi occhi si illuminarono, incantandolo. "Con questo saprai sempre dove sono. Cercami e ti indicherà la via," diede la pietra ad Arthur, il quale la prese. Brillò all'interno della sua mano e lui la guardò esterreffatto.
"E' fantastico," sussurrò, incuriosito, affascinato. Merlin sorrise. Stavolta avrebbe potuto vivere il proprio segreto alla luce del giorno e chissà, forse Arthur lo avrebbe veramente apprezzato per ciò che era. Sembrava tutto un nuovo percorso da ricostruire e lui era sinceramente ansioso di farlo. Voleva vedere sul suo volto la meraviglia, tutto ciò che aveva perso a Camelot, ora poteva recuperarlo. Non poteva certo sperare che si innamorasse di lui, forse era chiedere un po' troppo, ma poteva almeno sperare di non nascondergli più niente. Si sentiva come se si fosse tolto un enorme peso dal petto, come un tempo. L'unica differenza era che adesso Arthur aveva molti meno pregiudizi e che, per fortuna, non era in punto di morte.
Arthur sollevò la mano con il cristallo luminoso, il quale adesso si stava lentamente affievolendo.
"Direi che ti do la buonanotte, Merlin," disse, facendo qualche passo indietro. Merlin rispose e rimase immobile, guardandolo mentre entrava in casa. Si scambiarono un ultimo cenno, finché la figura di Arthur sparì oltre la porta.
Merlin rimase da solo con i propri pensieri e si incamminò di nuovo verso casa, mentre poteva sentire ancora dentro al proprio petto quella sensazione di completezza che ormai non provava da secoli.
Inspirò a pieni polmoni l'aria fresca. Odorava di buono, vibrava dentro di lui. Era come se la magia fosse davvero tornata a far parte di quella terra.
Sorrise; quella notte forse non avrebbe dormito. Si sarebbe abbandonato ad ogni genere di pensiero, dal migliore fino al più dolce per concludere con il più sconcio.
Merlin si svegliò di soprassalto quando il citofono squillò alle otto del mattino. Chi cazzo era ad andare a casa sua di sabato mattina alle otto? Si meritava di sicuro una denuncia.
Aprì la porta in ciabatte, con una vestaglia mezza slacciata e i capelli completamente in disordine. Si strofinò un occhio, collegando solo qualche istante dopo che quello di fronte a lui era Arthur Pendragon.
Ah, già. C'era quel piccolo dettaglio. Piccolo e assolutamente reale, in tutti i sensi - anche se forse non piccolo. Non lo sapeva, la sua mente gli giocava brutti scherzi finché non prendeva almeno il primo caffè della giornata.
"Arthur..." sbiasciò, facendosi da parte, "Non ti aspettavo così presto, entra," disse, facendogli cenno e spazio per entrare.
"Scusami, mi sembra di essere arrivato in un brutto momento. Stavi ancora dormendo, eh?" chiese, grattandosi la testa con la mano libera. Nell'altra un sacchettino di carta.
"Sì, umh," mugugnò Merlin, sedendosi sul divano.
"Ho portato la colazione però," Arthur la appoggiò sul tavolo. "Spero possa farti piacere..."
Merlin si stranì. L'Arthur che conosceva non avrebbe mai fatto un gesto simile, ma è anche vero che l'Arthur che conosceva non c'era più, o almeno non completamente. Quella era una nuova forma, adattata ai tempi in cui vivevano.
"Certo," Merlin si sedette al tavolo, invitando Arthur a fare lo stesso. "Ti preparo un caffè o un tè?"
"Un tè andrà benissimo," annuì, spacchettando le donuts che aveva acquistato per entrambi. Quando si voltò verso i fornelli, Merlin fece appello a tutto il suo autocontrollo per non farsi scendere le lacrime. Non era un sogno, Arthur era tornato davvero. Dopo così tanti anni di attesa, sembrava ancora una cosa così assurda e irreale. Sorrise, abbassando gli lo sguardo e inspirando. Non poteva farsi vedere così.
"E quindi Merlin, cosa mi consigli di fare in questo nuovo mondo?"
Merlin inarcò le sopracciglia, sorpreso. Esitò per qualche secondo.
"Oh beh..." appoggiò la tazza di tè di fronte a lui, "sicuramente ti posso consigliare di trovare un lavoro per riuscire a vivere. Non sei più ricco come nella vita passata."
Sbuffò.
"Non ho idea di quali siano le mie capacità e non so minimamente cosa significhi lavorare, sei sicuro che non ho boh, un'eredità o qualcosa del genere? Sembri sapere così tante cose su di me, magari sei a conoscenza anche di questo."
Merlin si morse il labbro inferiore, imbarazzato.
"Credo che sia andato tutto perso con la tua storia, Arthur. Adesso non sei nient'altro che... un comune mortale. Anche se visto che sei re una volta e re per sempre, e questo probabilmente dovrebbe significare qualcosa."
"Potrei far parte della famiglia reale!"
"Dubito che potresti entrare nel Palazzo Reale e dire 'ehi io sono re Arthur Pendragon e questo è il mio trono' se è questo che intendi."
Arthur reclinò la testa verso l'altro, esasperato.
"Cosa dovrei fare, allora? Non posso continuare a vivere a casa di Leon."
Merlin si fermò.
"Leon?"
Arthur abbassò la tazza di tè, finendo di bere.
"Sì, è il nome dell'agente che mi ha aiutato, perché?"
"Arthur, Leon era anche il nome di uno dei... oddio," improvvisamente una consapevolezza lo colpì fortissimo nello stomaco. E se fossero tornati tutti? E se fossero tornati anche Mordred e Morgana? La storia forse era destinata a ripetersi da capo.
Inspirò. Doveva mantenere assolutamente la calma, non c'era motivo per andare nel panico e il drago non aveva mai parlato di un'eventualità simile - a meno che non lo potesse sapere.
"Cosa?" lo incalzò Arthur.
"Niente. Cioè, era il nome di uno dei tuoi cavalieri, sai, quando eri re..."
"Oh, in effetti lo avevi citato. Ma non c'avevo pensato... non essere assurdo però, non credo che..." Arthur si fermò, facendo vagare il suo sguardo su Merlin. In fondo se lui era lì perché non potevano essere tornati anche tutti gli altri? Poteva avere senso.
"Non lo so," rispose sinceramente, "ma anche se fosse, Sir Leon è stato un attimo cavaliere e fedele amico fino alla fine, quindi sarebbe soltanto una bella notizia." La domanda che si poneva Merlin, però, era come fosse possibile che nonostante tutto quel tempo passato lì, non avesse mai incrociato nessuno. Erano tornati tutti con Arthur?
Merlin addentò una donuts e sorrise ad Arthur, grato. "Buonissime. Grazie per averle prese," Arthur fece un cenno con la mano, sorridendogli a sua volta. Era strano per Merlin tornare a condividere qualcosa con lui, specialmente in quel tempo, specialmente in quei termini. Sembrava che fosse finalmente possibile avere un rapporto paritario e in un certo senso, negli anni Merlin non aveva sperato nient'altro.
"Lo facevamo spesso?" Arthur interruppe il silenzio e Merlin quasi non si strozzò con il pezzo di ciambella, lasciando che la sua mente vagasse verso il significato sbagliato di quella domanda.
"Cosa?" chiese poi, con poca sicurezza.
"Mangiare insieme, condividere questo tipo di momenti..." Arthur fissava il tavolo. Non doveva essere facile. Merlin rifletté per qualche secondo; lui non se l'era passata bene aspettandolo per così tanto tempo, ma non poteva negare di non riuscire nemmeno a comprendere lontanamente come potesse sentirsi Arthur, svuotato di ogni ricordo e con qualche flash qua e là, totalmente in balia della memoria delle altre persone.
"Beh sì, voglio dire..." cercò di sorridergli, incontrando il suo sguardo smarrito e sentendosi sprofondare, "ero il tuo servitore, perciò non era proprio così. Però eravamo amici, abbiamo condiviso moltissimi momenti e beh, ho cucinato per te tante volte."
Avrebbe voluto aggiungere che non potevano condividere così tanto, visto che non era così facile condividere un pasto quando dovevi essere tu a servirlo, ma al tempo stesso non lo ritenne necessario. In fondo l'unica cosa che contava davvero era ciò che avevano come amici.
"E' che Merlin," assottigliò lo sguardo, "è strano da descrivere e non saprei come farlo, ma provo qualcosa... è un senso di familiarità, di assoluta e completa fiducia. Non riesco a spiegarmelo perché il me di adesso nemmeno ti conosce, tuttavia non posso far a meno di fidarmi di te," reclinò la testa di lato. "Non mi avrai fatto un incantesimo, vero?" chiese poi, forse ironico. Merlin non riuscì subito a decifrarlo.
"No, non direi. Se avessi fatto un incantesimo non ti farei nemmeno dubitare, non trovi?"
Arthur sospese una mano in aria e poi la appoggiò sul tavolo. "Giusto, giusto."
Si rilassarono entrambi un poco.
"Quindi erano frequenti questi momenti e... eravamo molto amici. Quanto tempo abbiamo passato insieme?"
"Oh, direi moltissimo. In anni comunque credo almeno otto..."
"Come fai a ricordare tutte queste cose? Sono passati secoli."
"Sono uno stregone, ricordi?" Merlin fece le spallucce, "A volte porto comunque il fardello di queste memorie, non voglio negarlo. Non voglio nemmeno sembrarti indelicato, ma tutto ciò che mi sono portato dentro questi anni è... molto con cui convivere."
Arthur annuì. "Siamo agli opposti, eh?"
Merlin sorrise appena.
"Come sempre, oserei dire. Tu un principe, io solo un servo."
Capitolo: 1
Fandom: Merlin BBC
Coppia: Arthur/Merlin
Wordcount: 10.000 (landedifandom)
Prompt: I fili intrecciati del destino - Missione 6 del Cow-t (+ carta Minthe)
Timeline: canon-era, post 5x13 fino alla modern era
Note: Non betata
Titolo ispirato a questa canzone: https://www.youtube.com/watch?v=C5kuxgJGtEw
"I vostri destini sono intrecciati per l'eternità, mio giovane mago. Arthur ritornerà quando Albion ne avrà bisogno e tu sarai lì per lui."
"Quanto dovrò aspettare?"
"A nessuno è dato saperlo. Ma tu e il re siete destinati a stare insieme, Merlin. Niente potrà separarvi da questo destino."
"Tu parli di destino, di stare insieme, ma ciò che io..."
"Conosco i tuoi sentimenti verso Arthur, Merlin. Io lo so, so cosa provi e quello che ti posso garantire è che siete destinati. La vostra vita insieme può accadere, ma non adesso, non in questo tempo, né in altri che verranno in futuro. Ci sarà un'epoca per voi, una in cui potrete essere felici e vivere insieme, ma devi avere pazienza."
Pazienza.
Non sapeva quanta ne avrebbe davvero dovuta avere.
Kilgarrah volì via e lo lasciò lì, piegato sul corpo di Arthur. Avrebbe dovuto dire addio all'uomo che amava e non era assolutamente pronto per farlo.
Si chinò su di lui e, piangendo, gli diede un bacio sulla fronte.
"Ti aspetterò per sempre..."
Merlin non tornò a Camelot per giorni.
Sapeva che le sue azioni avrebbero avuto un peso, come far preoccupare Gaius o Gwen o i cavalieri - quanti di loro erano rimasti?
La notizia che il Re era morto era sopraggiunta da un addolorato Parsifal, il quale aveva trovato Merlin ancora inginocchiato alla riva del lago di Avalon.
Aveva provato a convincerlo a tornare a Camelot su un primo momento, ma quando gli occhi di Merlin lampeggiarono illuminandosi di una luce dorata, Parsifal fece un passo indietro, capendo tutto improvvisamente e scegliendo di lasciare - forse deliberatamente, forse no, - il mago lì, senza insistere ulteriormente.
La sua vita era distrutta e niente sarebbe stato più come prima. Che destino poteva avere, adesso, se non quello di aspettare?
Vagò per giorni per la foresta, per le terre di Albion. Riusciva a sentire l'energia del mondo scorrere dentro di lui, perché lui stesso era energia. Ne era inebriato. Ogni cosa sembrava sussurrargli vita e il che lo faceva quasi arrabbiare, considerando che riusciva, al tempo stesso, a percepire solo il vuoto e la morte. La mancanza di Arthur a quelle terre aveva portato qualcosa di irrimediabilmente tragico, qualcosa alla quale lui non sarebbe sopravvissuto con troppa facilità.
Si chiedeva come potesse essere davvero arrivato il suo tempo: Arthur era davvero troppo giovane. Troppo giovane per morire. Kilgarrah e suo padre dicevano che era soltanto l'inizio della loro leggenda, ma come poteva essere così quando tutto sembrava narrarne la fine?
Merlin non riuscì a farsene una ragione per i giorni seguenti.
E nemmeno per i secoli che vennero dopo quell'accaduto.
Quando tornò a Camelot aveva ormai i vestiti troppo sporchi e le suole consumate. Aveva camminato per giorni, non sapeva nemmeno quanti; non aveva tenuto conto del tempo che era passato dal giorno della morte di Arthur e non voleva farlo. Il sole splendeva alto nel cielo, la luce passava dalle finestre del castello e i cavalieri vigilavano la struttura. Tutto normale. Chissà, forse sarebbe entrato dentro e avrebbe trovato Arthur sul trono, forse era stato tutto un enorme scherzo.
Con passi pesanti e stanchi si diresse verso le proprie stanze, quando una voce lo bloccò.
"Merlin!"
Non era la voce di Arthur.
"Gwen," disse, secco. La verità è che sapeva che se qualcuno poteva capirlo, quella era proprio lei. Poteva scorgere tutto il dolore nei suoi occhi.
"Oh, Merlin," corse tra le sue braccia, stringendolo forte come non aveva mai fatto prima. La donna cominciò a piangere copiosamente e Merlin avrebbe voluto fare lo stesso, ma non ci riuscì. Il suo dolore era così profondo che pensava di aver finito le lacrime i giorni precedenti ed era stato tutto così forte che gli facevano male gli occhi. Strinse comunque la regina tra le braccia, cercando di farla sentire al sicuro.
"Ho fatto tutto ciò che potevo..." disse con un filo di voce, "mi dispiace."
"Lo so, Merlin," la donna si spostò e appoggiò una mano sulla sua guancia sporca. Merlin avrebbe voluto dirle che una regina non doveva rischiare di sporcarsi, ma sapeva che Gwen non ci stava pensando. Era talmente umile, nonostante tutto.
"Non ci sono riuscito..." mormorò ancora, sentendosi estremamente in colpa.
"Non è colpa tua, Merlin. Non potevi fare niente. Adesso vai da Gaius, ti aspetta da giorni ed è davvero molto preoccupato," la mano di Gwen scese sulla sua spalla, rassicurante. Merlin sforzò un sorriso, ma la verità è che non avrebbe sorriso per molto, molto tempo.
Camminando per andare verso le stanze di Gaius, incrociò Leon, il quale fece un'espressione sorpresa nel vederlo.
"Merlin," disse, con una certa veemenza nella voce. Merlin sforzò una smorfia con le labbra e Leon si fermò.
"Mi dispiace..." sussurrò il cavaliere, avvicinandosi a lui. Forse avrebbe voluto abbracciarlo, ma il giovane mago non glielo permise. Non voleva davvero essere toccato da nessuno, in quel momento.
"Grazie," rispose soltanto, facendo un cenno con la testa e riprendendo a camminare.
Aprì la porta e trovò Gaius curvo sulla sua scrivania, stava leggendo un libro ma non sembrava molto concentrato.
L'anziano si alzò di scatto - per quanto possibile,- e corse verso di lui senza dire una parola.
"Merlin..." anche lui disse il suo nome, ma con la voce spezzata di chi era stanco. "Ti ho aspettato per giorni."
"Mi dispiace averti fatto preoccupare Gaius," rispose, stringendosi nelle spalle.
"Ti preparo un bagno caldo figliolo..." disse l'uomo, rimanendo lì. Merlin si avvicinò per abbracciarlo e stringerlo. Per lui, poteva farlo.
"Ho fallito Gaius, ho fallito... Lui è morto lì, tra le mie braccia, non ho potuto fare niente," singhiozzò. Le lacrime avevano ripreso a sgorgare dai suoi occhi. Non era riuscito a farlo con Gwen forse per stanchezza o forse per preservarla. Ma Gaius era praticamente come un padre e poteva sentir scivolare via tutta la propria angoscia tra le sue braccia. Era la stretta rassicurante di una persona che lo faceva sentire a casa.
"Hai provato a fare tutto ciò che potevi, Merlin. Non devi rimproverarti niente..." Merlin poté giurare di sentire la sua voce rotta dal pianto. Arthur sarebbe davvero mancato a tutti.
"Ho visto Arthur Pendragon crescere, l'ho visto diventare da un ragazzino viziato e privilegiato, un uomo umile e buono, un re giusto e questo, Merlin, è stato soprattutto grazie a te. Adesso la pace regnerà ed è per ciò che tu ed Arthur siete riusciti a compiere insieme."
Merlin scosse la testa.
"C'erano ancora così tante cose che poteva fare, così tante cose che potevo dirgli..."
"Lo so, Merlin. Sicuramente la sua ora è giunta troppo presto, ma tu non devi rimproverarti niente. Hai fatto tutto ciò che era necessario, tutto ciò che potevi. Sei stato un ottimo consigliere, servitore e amico."
"Avevo paura di deluderlo, ma poi l'ha capito e ha accettato. Ha accettato la mia magia, Gaius. Avrei potuto farlo tempo fa, ma non ne ho avuto il coraggio. Avrei potuto dirglielo."
"Hai agito saggiamente, Merlin. Parlare della tua magia poteva non essere sicuro non solo per Arthur ma anche per tutti gli altri che avrebbero potuto darti la caccia. E' stato giusto così..."
Abbassò lo sguardo e si guardò le mani, erano ancora sporche di terra.
"Adesso è il caso che tu ti dia una sistemata, credo che adesso più che mai tu debba assistere Gwen. Lei ha bisogno di te e forse tu hai bisogno di lei."
"Non lo so, Gaius. Non so quanto riuscirò a rimanere a Camelot senza Arthur."
"Dovrai farlo. Arthur non avrebbe mai voluto che tu abbandonassi Gwen, lo sai."
"Forse," scosse la testa, "ma il mio destino era Arthur, era la nostra vita insieme. Adesso niente ha più senso," si lasciò andare su una sedia lì vicino. Il mentore rimase in silenzio, guardandolo con aria triste. Merlin sapeva che Gaius non aveva torto, ma in quel momento voleva soltanto essere egoista e non pensare a nessun altro se non a se stesso.
"C'erano davvero tante cose che volevo dirgli..." sussurrò ancora, e dalla tasca sfilò il sigillo reale di Ygraine, Arthur glielo aveva regalato tempo prima, quando stavano andando in battaglia a sconfiggere i Dorocha.
"Ma quello..."
Merlin alzò lo sguardo.
"Questo è lo stemma della famiglia reale da parte della madre di Arthur, sì. So cosa significa, ma non lo sto facendo vedere per questo... lo tenevo sempre con me, Gaius. E' uno dei tesori più preziosi che ho. Quando me lo ha dato, ho sentito che mi stava dando un pezzo della sua vita, del suo cuore."
L'uomo annuì.
"Teneva davvero molto a te, Merlin."
"Lo so, ed io a lui."
"Molto più di quanto non si potesse immaginare, vero?" Gaius si sedette su uno sgabello, guardando Merlin con aria di chi sapeva.
Il giovane uomo annuì. "Sì, molto più di quanto chiunque potesse immaginare. Arthur era... tutto ciò per cui valeva la pena vivere."
"Ma tornerà, lo sai. Re una volta e re per sempre."
"Sì, ma quando. Quanti anni dovrò aspettare?"
"Non ci è dato saperlo," rispose Gaius, scuotendo leggermente il capo. "Immagino che potrai solo aspettare."
E Merlin sapeva che il suo vecchio mentore aveva ragione, ma aveva paura che quell'attesa sarebbe stata davvero troppa anche per lui.
Merlin non uscì dalla sua stanza per i successivi quattro giorni.
Gwen andò spesso a chiedere di lui, ma Gaius ogni volta rispondeva che ancora non se la sentiva.
"E' troppo presto," diceva, e Merlin poteva sentirlo dalla porta. Era rannicchiato sul suo letto, con le gambe tirate al petto. Rigirava tra le dita lo stemma di Ygraine.
"Che devo fare..." sussurrava, a volte a voce alta, a volte nella sua testa. Il suo destino era compiuto. La pace regnava a Camelot, Morgana era morta. Non c'era più la voce di Arthur a chiamarlo, sgridarlo, non c'era più chi aveva costantemente bisogno di lui. Non c'erano più le sue mani sulle proprie braccia e sulle spalle, non c'erano più i suoi occhi azzurri e il sorriso sempre così ampio, solare. Non c'era più il suo odore e forse era la cosa che gli mancava di più. Sapeva che ogni uomo era completo da solo, ma lui, senza Arthur, si sentiva incompleto.
Strinse ancora di più le gambe al petto e rimase a letto anche quel giorno, il quinto giorno.
Prima che Merlin decidesse effettivamente di alzarsi e andare di nuovo nel mondo passarono due settimane. Qualche volta si era allontanato da solo nella foresta e qualche altra volta aveva cercato di aiutare Gaius a produrre qualche medicinale. Tuttavia, dalla morte di Arthur non aveva più praticato la magia, nemmeno mezzo incantesimo. Senza di lui non aveva più senso farlo.
In qualche modo era come se non fosse più lo stesso; e non perché aveva letteralmente "seppellito" l'uomo che amava, ma perché qualcosa nel suo intero essere era cambiato. Un pezzo di lui non c'era di più, era qualcosa di tangibile e poteva sentirlo chiaramente.
Fu convocato da Gwen quel giorno. Merlin fece un piccolo inchino e la donna scosse la testa.
"Ci potresti lasciare soli?" chiese, rivolgendosi a Sir Leon, il quale si congedò con un mezzo sorriso.
"Merlin..." la donna si alzò dal trono e con portamento regale si avvicinò a lui, camminando piano. "Io capisco la tua sofferenza."
"Lo so, Gwen."
"Ma Camelot ha ancora bisogno di te," sorrise, buona, come sempre. Appoggiò entrambe le mani sulle sue spalle, costringendolo a guardarla.
"Non vedo in che modo potrebbe aver bisogno di un umile servo," rispose, con un sorriso amaro.
"Sappiamo entrambi che non sei solo questo."
Merlin dischiuse appena le labbra, vagamente stupito.
"Lo sai."
"Sì, lo so. Ma non è importante, Merlin. Ciò che conta è quel che hai fatto per Arthur per tutta la tua vita. Ciò che conta è che gli sei stato fedele fino alla morte e che non lo hai mai abbandonato. Oh, Merlin. Hai fatto così tanto per lui, rischiato la tua vita, nascosto la tua magia... Perché? Solo per lealtà?" chiese poi, cercando di indagare. E Merlin la poté sentire scrutare quasi direttamente nel suo cuore. Si fermò e non rispose immediatamente, ma suppose che la donna avesse già capito la sua possibile risposta.
"So che sai che non è solo per questo," Merlin intrecciò le braccia dietro la schiena, raddrizzando le spalle e assumendo una postura un po' più rigida, forse imbarazzata.
Lei sorrise appena, "lo amavi almeno quanto me, vero?"
Merlin si sentì sprofondare; non lo aveva mai detto a voce alta. Anzi, non lo avrebbe mai detto se non fosse stata quell'occasione a far sì che l'argomento venisse fuori e tra tante persone, di certo non avrebbe mai pensato di dirlo a Gwen.
Sì, certo che lo amava almeno quanto lei, forse anche di più, ma quello non poteva certo dirlo, perché non poteva avere la presunzione di capire quanto fosse profondo il suo sentimento.
"Lo amavo come non ho mai amato nessuno in vita mia," ammise, con lo sguardo basso, per poi alzarlo verso quello di Gwen. Incontrò i suoi occhi, che per qualche ragione, sembravano essere vagamente lucidi. "Avrei dato tutto per lui. Non volevo niente in cambio, soltanto... soltanto la sua compagnia, la sua felicità. Ogni giorno, ogni santo giorno," si morse il labbro inferiore e si passò una mano sul volto. Non voleva piangere.
"Lo sapevo," rispose Gwen, comprensiva. Accarezzò il suo braccio. "Per questo, Merlin, ti chiedo di essere al mio fianco. Nessuno più di te può capirmi, nessuno amava Arthur quanto lo amavamo noi..." Merlin non rispose, osservò solo la sua mano muoversi sul proprio braccio come per rassicurarlo. La verità è che in un impeto di rabbia avrebbe voluto scacciarla e dirle che no, non lo amavano allo stesso modo, lui lo amava sicuramente di più. Ma sapeva che era un pensiero più che egoista e che non aveva alcun senso. Certo che Gwen amava Arthur quanto lui lo aveva amato, non aveva senso la sua rabbia.
"Cercherò di fare del mio meglio," Merlin fece un cenno col capo. Si chiedeva cosa aveva mai provato Gwen a stare tra le braccia di Arthur, ad essere ricambiata da lui. A quel punto, avrebbe almeno voluto dirgli ciò che provava prima di vederlo morire, ma ormai era fatta.
"Non ne dubito che lo farai. E... comunque," Gwen si allontanò un poco, "anche se non lo ha mai detto, sono sicura che anche il suo cuore fosse diviso in due," spiegò, rivolgendo lo sguardo alla finestra. La sala del trono era illuminata dalla calda luce del sole e tutto sembrava più morbido, anche quell'affermazione.
"Che intendi dire?"
"Anche se non lo ha mai confessato, sono sicura che anche lui ti amasse. Non so spiegarti in che modo, ma sono certa che sia così."
Il fiato di Merlin si sospese per qualche secondo e una fitta lo colpì all'altezza dello stomaco.
"Tu venivi prima di qualunque cosa, Merlin. Quando ha sentito la tua voce nella sua testa la notte della battaglia, non ha esitato nemmeno per un secondo. Non sapeva che eri un mago, ma forse nel suo profondo non era importante averne la certezza. Lui avrebbe fatto qualunque cosa, se gliel'avessi detta tu," spiegò, "e forse, ti assicuro, non avrebbe mai ascoltato nemmeno me in quel modo."
"Non è totalmente vero..." controbattè Merlin, passandosi una mano dietro la nuca, imbarazzato.
"No, forse non lo è. Tuttavia sono abbastanza sicura di ciò che dico. Si sarebbe gettato nelle fiamme per te e lo sai anche tu. Adesso dobbiamo regnare insieme, Merlin. Nessuno più di noi due può condurre Camelot alla prosperità e mantenere ciò per cui Arthur si è sacrificato."
Merlin sapeva, in cuor suo, che la regina aveva ragione. Su tutta la linea, naturalmente.
Fece un respiro profondo e annuì.
"Va bene."
"Naturalmente non posso incoronarti re, ma voglio che tu sappia che ho una profonda stima di ciò che mi consiglierai e sono disposta a parlare con te come avrebbe fatto Arthur," disse, acquisendo un tono serio, regale. Il giovane mago annuì.
"Ti aiuterò," disse, chinando appena il capo.
"Grazie, Merlin. Grazie di cuore."
Il mago fece un leggero inchino e voltò le spalle, pronto ad uscire dalla sala del trono. Non voleva vedere per più di altri cinque minuti quella sedia vuota. Era troppo da sopportare.
Se davvero i loro destini erano intrecciati come si diceva in giro, allora Merlin doveva capire che senso aveva la vita per lui in quel momento.
Seduto sulle rive del lago di Avalon, lanciava piccoli sassolini nell'acqua, un po' sovrappensiero, un po' arrabbiato. Per qualche stupida ragione, sperava che forse, sasso dopo sasso, Arthur sarebbe uscito dall'acqua e l'avrebbe insultato, dicendogli che un servitore non si sarebbe dovuto permettere di lanciare così tanti sassi in testa al suo re. Tuttavia, ovviamente, non successe. Anche perché non c'erano pericoli imminenti, pertanto la profezia non sarebbe risultata vera.
Sospirò, buttando la testa sulle ginocchia e ricominciando a piangere silenziosamente, come faceva ormai piuttosto spesso.
Merlin, che era sempre stato gioioso e solare, si stava lentamente chiudendo in se stesso, sempre meno disposto a cercare l'aiuto del prossimo. Sapeva che il suo destino era importante, ma in quel momento anche se era vivo, si sentiva totalmente senza uno scopo.
"Che devo fare..." sussurrò, con la testa tra le gambe e le braccia a circondarla. "Hai sempre amato darmi ordini... cosa devo fare, Arthur. Io non posso sopportare tutto questo," disse, a mezza voce, mentre le lacrime continuavano a scorrere giù, lungo le sue guance.
Poté sentire il vento accarezzarlo. Fu una sensazione strana, ma era come se qualcosa di fresco si fosse impigliato tra i suoi capelli, alzò la testa e non vide nessuno. Il vento gli stava accarezzando le guance, era concentrato su di lui. Che fosse magia?
"Arthur..." sussurrò, rivolgendo uno sguardo verso il lago. Forse era da pazzi, ma ne era sicuro, quello era un cenno.
Il suo cuore si riempì di una gioia momentanea, provando un calore quasi accessivo che si propagava tra il petto e lo stomato. Vi appose le mani, stringendosi la casacca sull'addome.
"Arthur."
Negli anni successivi, Merlin aiutò davvero Gwen a governare Camelot. Gwen fu un'ottima regina, come previsto da tutti. Severa, sì, ma ottima. Riuscì a tramandare degnamente l'eredità di Arthur, insegnando la compassione e reintroducendo la magia nel regno, grazie all'aiuto di Merlin.
L'ingresso della società magica a Camelot fu graduale e molti che la possedevano tendevano ancora a nascondersi. Tuttavia, la notizia che il servitore della regina detenesse dei poteri magici, fu una cosa che creò un certo scandalo e anche sollievo. Merlin divenne presto una leggenda, a Camelot. Un esempio da seguire. Il simbolo della magia buona.
Merlin era felice di quei progressi e sapeva che anche Arthur lo sarebbe stato. Gwen decise di non risposarsi con nessuno, ma per Merlin fu lampante e nemmeno troppo difficile da intuire, che tra lei e Sir Leon, fosse nato qualcosa. Probabilmente avevano deciso di tenerlo nascosto per il regno, o forse per vergogna stessa. A Merlin non importava particolarmente.
Dal canto suo, gli anni passavano e il suo corpo invecchiava comunque sempre troppo lentamente, mentre vedeva le persone a cui voleva bene morire poco a poco. Gaius, ovviamente, fu il primo.
Aveva sempre immaginato di condividere un giorno come quello con Arthur, ma la verità era che non voleva passarlo con nessuno dei presenti. Gaius era stato come un padre. Lo aveva accolto, cresciuto, accudito. Era stato un mentore, gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva e non aveva mai giudicato nemmeno per un secondo la sua natura di mago. Lo aveva protetto ai tempi di Uther e il suo consiglio era qualcosa che lo aveva portato ad essere chi era.
Merlin sapeva bene che da quel momento in poi, qualcosa sarebbe cambiato ulteriormente.
Era il corso naturale delle cose, il patto per cui lui, in quanto creatura magica, non avrebbe potuto fare la stessa fine.
Molte volte si era ritrovato a chiedersi se ci fosse un rimedio una pozione, un incantesimo, qualcosa che potesse addormentarlo fino ad un eventuale risveglio di Arthur - cosa che non era nemmeno certo potesse davvero avvenire. La risposta sembrava non arrivare mai e, col tempo, si sentiva sempre più arido e scontroso nei confronti dell'intero universo. Il suo cinismo stava toccando vette inaspettate.
Per un po' aveva anche smesso di tornare al lago di Avalon, dove solitamente andava per parlare con Arthur. Si sedeva per terra e fissava l'isola in mezzo al lago. Qualche volta gli raccontava delle sue giornate, qualche altra volta lo pregava di ritornare e, in altri sporadici momenti, si arrabbiava con lui. Cominciava ad inveirgli contro senza una ragione precisa, perché gli mancava così tanto da farlo sentire davvero arrabbiato.
"Potresti anche degnarti a tornare," sussurrò una volta, con le mani in tasca e calciando un sasso nel lago, "come dovrei continuare a stare qui senza di te, mh? Gwen è una bravissima regina, ma è vecchia. Morirà senza eredi e a prendere il trono sarà un tuo parente, uno di quelli che Camelot l'ha vista sempre e solo da lontano, davvero vuoi questo?" borbottò. Razionalmente sapeva che sarebbe stato tutto inutile, che le sue imprecazioni di certo non avrebbero riportato in vita il re.
Andò via dal lago, lasciando lì, come sempre, anche la sua speranza.
Battaglie e guerre si susseguirono nei secoli successivi e Merlin, ogni volta, sperava di veder tornare Arthur per quelle occasioni. Dove poteva esserci bisogno di lui se non in momenti del genere?
Durante la prima guerra mondiale, Merlin si ritrovò a fare da medico in numerose occasioni. La verità è che la maggior parte dei soldati non sapevano dei suoi poteri, ma lo definivano "un medico miracoloso". Merlin avrebbe voluto semplicemente accettare quella definizione senza alcuna amarezza, ma la verità era che la sua vita eterna sembrava condurlo solo laddove c'era la morte. Non riusciva a vedere nient'altro se non la storia ripetersi come un ciclo infinito di disgrazie ed errori dell'uomo, dove cercava, con il proprio egoismo, il prossimo bersaglio da colpire. Per soldi, per potere, per supremazia. Qualunque fosse la ragione, non sembrava più esserci il desiderio di unione. C'erano stati grandi uomini capaci di riportare la pace - forse grandi quanto Arthur. Ma nessuno sembrava riuscire a farla durare per più di un determinato periodo.
Adattarsi alla vita moderna non era stato semplice. Aveva viaggiato molto, potenzialmente poteva dire di aver visto quasi tutto il mondo. Si era spostato a piedi, a cavallo, poi in nave, aereo, addirittura in auto - anche se continuava a non apprezzare poi moltissimo quei mezzi di trasporto.
Lungo il suo immenso viaggio, Merlin aveva portato con sé il fardello del destino. Il suo destino era rimanere vivo per aspettare Arthur. Ma quante vite avrebbe dovuto aspettare ancora perché avessero potuto finalmente vivere felicemente insieme?
E la verità era che ormai Merlin sapeva di essere solo. Non voleva nient'altro che la morte. L'aveva cercata negli angoli più remoti del pianeta, ma senza successo. Chiunque fosse in grado di ucciderlo, sembrava non essere intenzionato a farlo.
"Il tuo destino è più grande di ciò che credi, Emrys."
Ormai, però, erano gli anni quaranta. La seconda guerra mondiale era diventata il cancro di quel periodo e di nuovo, Merlin si era ritrovato a curare soldati e a diferendere intere nazioni, per quanto possibile, grazie alla propria magia. Se il suo destino era quello di salvare l'uomo dalla sua stesa stupidità ed avarizia, non era neanche più sicuro di volerlo fare. Stava mano a mano perdendo fiducia nel prossimo e nessuno avrebbe di certo potuto dargli torto.
Dov'era Arthur quando il mondo aveva bisogno di lui?
Gli anni ottanta sembravano un bel periodo storico. Tutto era così colorato, la musica non era per niente male e almeno da un po' non si vedevano stupidi conflitti mondiali. La pace non regnava certo eterna, la Guerra Fredda era un esempio. Tuttavia, finalmente Merlin sembrava potersi godere un po' di pace dalla follia umana. Doveva ammettere che non ritrovarsi a curare uomini mutilati o sentire schianti di bombe con conseguenti stermini di popolazioni intere, era piuttosto piacevole. Poteva godersi qualche frivolezza della vita, per quanto non fosse così entusiasmante continuare a vivere senza uno scopo.
Merlin non era nemmeno più sicuro dell'esistenza della magia in quel mondo. Lui ancora la possedeva, ma non era più riuscito a trovare nessuno come lui. I draghi sembravano definitivamente estinti - la morte di Kilgarrah era sopraggiunta poco dopo quella di Gaius e Merlin aveva potuto distintamente sentire una frattura dentro di sé che non si sarebbe mai rimarginata - e sembravano proliferare nuovi culti, che però di magia reale ne avevano ben poca. Alcuni erano anche interessanti, ma l'idea della religione era totalmente mutata nel tempo e un modello monoteista che faceva riferimento ad un unico "Dio" sembrava decisamente quello più gettonato. Ma del resto, come la magia, anche la religione era stata frutto di guerre e battaglie. Era stupefacente come l'uomo avesse la fantastica abilità di tramutare in guerra tutto ciò che doveva rappresentare la vita.
Passeggiava per le strade di Glastonbury osservando distrattamente le vetrine dei negozi, quando la notizia arrivò.
Entrò in una caffetteria, indeciso se entrare e prendersi una bevanda calda - aveva cominciato ad apprezzare il caffè da almeno una decina d'anni, dopo un iniziale scetticismo, - quando sentì dietro di lui due uomini disquisire sull'uomo del lago. Alzò gli occhi verso la tv presente nel locale. La tv stava trasmettendo il tg e una donna parlava di un giovane uomo ritrovato.
Uomo del lago.
Merlin si voltò di scatto, spalancando gli occhi. I
"Pare che fosse sulle rive del lago di Avalon, nudo e senza memoria di se stesso."
"Con le droghe che cicolano al giorno d'oggi non sono sorpreso che qualcuno possa fare questo, non vedo cosa ci sia di così notiziabile..." rispose l'altro.
"La notizia è scaturita dal fatto che sulla schiena pare avere tatuato un drago, identico al sigillo dei Pendragon, ma sono solo leggende... potrebbe anche essere qualcuno che ha trovato il sigillo in qualche libro e ha deciso di tatuarselo per fanatismo."
Merlin si guardò intorno, stordito. In tv non era stato inquadrato l'uomo in questione, ma qualcosa dentro di lui aveva appena acquisito consapevolezza.
Quella mattina era come se il mondo fosse tornato a parlargli di nuovo. Non c'era più soltanto l'energia della natura, la sua essenza, l'intero universo era ritornato a far parte di lui. Una frattura che per secoli aveva sentito dentro di se, stava lentamente sparendo.
Non poteva essere quello, però. Doveva essere solo una strana impressione. Una sensazione. Se Arthur fosse risorto proprio in quel momento non avrebbe avuto alcun senso logico, vista la situazione storica. L'unico che avrebbe avuto bisogno della sua presenza nel mondo, al massimo, era proprio lui.
Merlin uscì di fretta e furia dalla caffetteria e qualcuno lo guardò stordito. Aveva fatto uno scatto troppo veloce per essere un vecchio e Merlin ogni tanto si dimenticava dell'aspetto che aveva scelto di assumere per vivere in quell'epoca. Erano anni che si era rinchiuso nel corpo di un vecchio, forse per dire a se stesso che il tempo passava anche per lui, forse perché realmente quella era la sua forma. Non avrebbe comunque voluto farsi vedere da Arthur così, se davvero fosse tornato.
Non sapeva bene come sentirsi. Se si fosse soltanto illuso avrebbe fatto troppo male, ma la sensazione che aveva nel petto gli faceva pensare che no, non poteva essere soltanto una flebile illusione, doveva essere lui.
Le lacrime cominciarono a sgorgare dai suoi occhi senza nessun motivo apparente per chi gli passava accanto. La sua faccia non era corrugata né dal dolore, né dal pianto stesso. Erano semplicemente lacrime di commozione.
Quando arrivò al lago di Avalon, ovviamente non trovò nessuno. Erano mesi che non tornava lì davanti. C'erano stati periodi in cui non aveva fatto nient'altro, ma nell'ultimo periodo aveva convinto se stesso a non farlo. Beh, era logico, dovevano aver rimosso il corpo e averlo portato da qualche parte. Forse in ospedale.
Ma come avrebbe potuto raggiungerlo?
Il vento gli scompigliò i capelli e sembrò parlargli.
"Emrys..." una voce lo costrinse a voltarsi. Non veniva chiamato così da troppo tempo. Non c'era nessuno.
Probabilmente il suo cervello gli stava giocando ulteriori scherzi e stava definitivamente impazzendo, sembrava una spiegazione tutto sommato plausibile considerando come stava vivendo quegli ultimi anni. Qualche volta si era ritrovato a passare le serate - con un aspetto da giovane - in quelle discoteche che i ragazzi tanto amavano. Aveva provato anche qualche droga - che però sembrava non aver sortito effetti su di lui, almeno fino a quel momento. Magari stavano agendo con un po' di ritardo.
No, ne era sicuro, non c'entrava nessuna droga. Era magia.
"Emrys... lui è tornato," un sussurro.
"Freya..." si voltò verso l'acqua e gli occhi tornarono umidi di nuovo, "Freya, sei tu."
"Merlin, il tempo è giunto. Devi ricongiungerti con il re," Merlin corse scompostamente verso l'acqua, quasi scivolando sul terreno fangoso. Si affacciò verso di essa e poté vedere il riflesso di Freya. Il suo cuore sprofondò. Erano secoli che non vedeva qualcuno a cui aveva voluto bene e non era sicuro di poterlo reggere. Si strinse nel cappotto, mentre brividi di freddo lo percorrevano con potenza, scuotendolo.
"Non farlo attendere, Merlin."
"Io... dove posso trovarlo?" cadde in ginocchio, bagnandosi completamente i pantaloni. Faceva freddo, veramente freddo.
"Sarà lui a trovare te, Emrys," rispose il riflesso, sorridendogli, "abbi fede. Non hai mai perso la speranza e la pazienza, non farlo adesso."
Merlin avrebbe voluto ribattere: la pazienza l'aveva persa molte volte, all'incirca tutte quelle in cui si era ritrovato a piangere e urlare di notte e inveire contro il lato, o quando viaggiava da un contiente all'altro chiedendosi dove sarebbe potuto andare e cosa avrebbe dovuto fare per meritarsi un suo ritorno.
Imprecò interiormente.
"Lo so che è difficile, ma non dovrai aspettare molto. Aspettalo, lui ora è tornato per te..."
Il riflesso di Freya scomparve, lasciando posto al proprio. Aveva un aspetto pessimo.
"Va bene," borbottò, chiudendo gli occhi e sussurrando delle parole. Quando li aprì di scatto si illuminarono di un colore dorato e il suo aspetto tornò quello di un giovane trentenne. Non ricordava più cosa significasse non avere i capelli lunghi e bianchi e la barba, erano almeno due mesi che non assumeva di nuovo quell'aspetto giovane. Lo aveva fatto soltanto la volta che era andato in una discoteca del paese. Voleva provare l'esperienza e non lo aveva particolarmente entusiasmato - si chiedeva davvero cosa ci fosse di divertente nel dimenarsi a ritmo di musica e assumere droghe che toglievano la percezione della realtà, ma forse non poteva capirlo perché non era la sua epoca e quelle sostanze non avevano davvero effetto su di lui.
Si alzò in piedi. Le sue gambe erano bagnate, con un incantesimo si asciugò i vestiti e cercò di renderli puliti. Avrebbe dovuto sicuramente indossare qualcosa di più consono per il ritorno di Arthur, qualcosa di giusto per l'occasione. Si sentiva agitato come una ragazzina e la cosa non era minimamente accettabile considerando la sua reale età, ormai.
Freya aveva detto che Arthur si sarebbe palesato di fronte a lui, ma Merlin si chiedeva impazientemente quando. Tra due giorni? Due ore? Insomma, era piuttosto vaga come affermazione e lui fremeva. Aveva aspettato per così tanto tempo, la sua esistenza aveva perso il senso con la sua morte. Aveva dovuto attraversare così tante situazioni senza di lui e doveva raccontargli tutto. Magari avrebbe anche potuto dargli uno schiaffo perché si era fatto attendere così tanto. Ma no, ovvio che non potesse schiaffeggiarlo, perché comunque lui era ancora il re. Non sapeva bene di che cosa, ma in fondo doveva esserlo.
Il suo cuore fremeva, così come le proprie labbra tremavano appena, dall'emozione, dal freddo. Si sentiva carico di adrenalina, voleva correre, voleva fare così tanto e gioire, dire a chiunque che Arthur era tornato, che finalmente poteva essere completo con lui.
La promessa era vera, tutti quegli anni di attesa non erano stati vani. Avrebbe potuto piangere per altrettanti secoli. La scorza dura che si era creata attorno al suo cuore stava crollando, lasciando spazio a tutti i sentimenti che aveva represso e che adesso traboccavano da esso.
Come poteva camminare per le strade tranquillamente? Arthur sarebbe potuto essere ovunque; in un negozio, in caffetteria, dietro l'angolo, nella via parallela o magari all'ospedale.
Tuttavia, nonostante le preoccupazioni, Merlin non incontrò Arthur né quel giorno, né quelli seguenti. Passò una settimana e non riuscì a reperire sue notizie, sembrava di nuovo scomparso nel niente e la prima reazione fu provare rabbia. Che per l'ennesima volta, il suo re fosse scomparso di nuovo? Che fosse stato un errore? Che Freya si fosse sbagliata?
Eppure lo sentiva dentro di sé, il re era vivo, era su quella terra e probabilmente non troppo distante. Ne avvertiva l'energia vitale, era inconfondibile ed unica e nonostante fossero passati secoli, ancora poteva carpirne la potenza.
Inoltre, per sua fortuna o sfortuna, Merlin non era portato a dimenticare.
Nonostante la rabbia e la delusione di dover attendere, Merlin continuò a fare la sua vita. Si assicurava il pane sul tavolo ogni giorno facendo assistenza medica. Aveva imparato moltissimo sulla medicina moderna; si era dovuto adeguare e in alcuni casi non era bastato lo studio individuale. Aveva dovuto seguire qualche corso, ma alla fine sembrava tutto abbastanza semplice e, di sicuro, la medicina sembrava essere diventata la cosa più vicina alla magia in assoluto.
Non erano rare, però, le volte in cui si aiutava ancora con qualche trucchetto magico. Alla fine era pur sempre molto utile quando aveva di fronte casi davvero irrecuperabili e, anche per questo, il suo nome si era diffuso presto. Merlin cercava comunque di rimanere il più possibile nell'anonimato e nell'oscurità, ma non poteva esimersi da quel compito; anche ammesso e non concesso che non gliene fosse importato poi così tanto di salvare vite, doveva pur mangiare in qualche modo.
Per qualche secolo aveva vissuto continuando a cacciare - e lo odiava, - o elargendo favori che gli venivano ripagati con vitto e alloggio. Ne aveva vissute tante, ormai, e sulla sua pelle erano incise tutte quelle avventure anche se non si potevano vedere. Nella sua mente erano ancora più visibili e i suoi atteggiamenti erano frutto di quei secoli passati a sopravvivere.
Quel giorno decise di uscire mantenendo un aspetto da trentenne. O meglio, era da quando aveva saputo che Arthur era tornato, che non acquisiva la sua vera forma. Aveva anche deciso di lasciarsi crescere un poco di barba, giusto per apparire un po' meno ragazzino e un po' più adulto. Di fatto gli conferiva un'aria più seria.
Lasciò il suo piccolo appartamento e scese in strada, camminando distrattamente verso la sua caffetteria preferita. Non riusciva a crederci, un'intera settimana e di Arthur nemmeno l'ombra. Fissò insetentemente i propri piedi, finché il flusso di pensieri non venne interrotto da un brusco incontro; un uomo si scontrò con lui, dandogli una forte spallata e facendolo barcollare.
"Ehy! Guarda dove vai!" esclamò l'uomo.
Quella voce. L'avrebbe riconosciuta tra mille.
Merlin ci mise due secondi per riuscire a reagire. Alzò lo sguardo verso di lui e non riuscì a credere ai suoi occhi.
"Arthur..." sibilò, impietrito.
L'uomo sbatté le palpebre un paio di volte, fermandosi.
"Come sai il mio nome? Ci conosciamo?"
Merlin si sentì gelare il sangue, il suo corpo cominciò a vivere un conflitto potentissimo: correre da lui o rimanere fermo? Non sembrava averlo riconosciuto. Forse non si ricordava nemmeno chi era. L'eventualità era altissima. Tuttavia, non poteva pensare di rimanere lì, fermo immobile, mentre la persona che completava la sua era di fronte a lui.
"Sì, ci conosciamo," rispose Merlin, a mezza voce, con gli occhi pieni di lacrime. Avrebbe voluto urlare a pieni polmoni che lo aveva aspettato per secoli e che cazzo, quella non era certo una reazione accettabile, ma non poteva farlo.
Si schiarì la gola.
"Non mi ricordo di te," disse, Arthur. Si portò una mano dietro la nuca, colpevole, "beh ma a dire il vero non ricordo quasi niente, quindi..." Merlin fece appello a tutto il proprio autocontrollo per non dire qualcosa di inopportuno.
Notò per un secondo lo sguardo dell'altro offuscarsi e le sue labbra si dischiusero lentamente. Gli occhi si assottigliarono ed alzò un braccio, puntando verso di lui il dito.
"Aspetta... Merlin. Ti chiami così, vero?" chiese, aggrottando le sopracciglia. "Io non so come lo so, ma... sono sicuro che questo sia il tuo nome."
Merlin annuì con veemenza.
"Sì, sì, assolutamente sì. Merlin è il mio nome," si avvicinò a lui, come per abbracciarlo. Si frenò di botto. Solo perché si ricordava come si chiamava non era un'autorizzazione a sbilanciarsi.
"Sembri... sembri veramente familiare, Merlin. Eravamo amici?"
Merlin strinse le labbra e si portò un pugno sulla bocca, cercando di frenare le lacrime.
"Che ne dici di parlarne di fronte ad un caffè?"
Arthur annuì, con faccia sempre più confusa, ma anche incuriosita. Chissà se il sentimento che stava provando era uguale all'emozione che sentiva lui in quel momento scorrere dentro di sé. Era qualcosa che non riusciva più nemmeno a concretizzare, né a dargli un nome. Era amore, senz'altro, ma era talmente profondo che qualunque parole sembrava soltanto banalizzarlo.
Aveva aspettato tutta la sua vita per quel momento e ne aspetterebbe altre cento, pur di vederlo ancora e ancora.
"La storia che sto per raccontarti potrebbe sconvolgerti," cominciò Merlin, tenendo tra le mani una bevanda calda. "Quindi prima di fare domande e tutto il resto ti prego, aspetta che io finisca."
L'altro inarcò un sopracciglio, visibilmente perplesso.
"D'accordo, suppongo che ascolterò. Ormai sto sentendo un sacco di cose strane sul mio conto questi giorni, suppongo che sarai l'ennesimo..."
"Aspetta, in che senso?" Merlin scosse la testa, confuso.
"Beh, qualcuno dice che non esisto in questa terra. Ovvero che non risulto esistente all'anagrafe né registrato da qualche parte. Non so dove sono nato, non ho più niente con me. Se qualcuno voleva resettare la mia vita, presumo ci sia riuscito, non trovi?"
Merlin socchiuse le labbra. Come poter spiegare la completa assurdità della sua vita? Ovvero che, in un certo qual senso, la sua esistenza in quel tempo era frutto della magia? Gli avrebbe quasi sicuramente riso in faccia. Il punto è che Arthur aveva comunque coscienza di sé, sapeva di esistere, sapeva di essere in quel tempo. Dal momento che aveva autocoscienza, era naturale chiedersi cose sulle proprie origini e difficile pensare che avrebbe creduto a una cosa del genere. Non era un bambino, dopotutto, e se si ricordava il suo nome forse sotto sotto c'era ancora la coscienza della sua vita precedente. Era semplicemente come se avesse dormito per troppo tempo.
"Beh è più complesso di così."
"In che senso? Tu che ne sai?"
"Arthur, ti sto per raccontare una storia incredibile. Tu non ricordi davvero niente?"
L'altro scosse la testa, "no, so solo che mi sono ritrovato in riva a quel lago e che poi mi hanno portato in ospedale. Dopo questo si è offerto di ospitarmi uno degli agenti che mi ha ritrovato e... niente di più," spiegò.
"Allora ti devo avvertire, Arthur. Ciò che seguirà ti sembrerà talmente assurdo che non mi crederai, ma ti prego, fai dvavero uno sforzo."
"Sono pronto, credo."
E da lì, Merlin raccontò. Poté vedere più volte l'espressione sul volto di Arthur cambiare. Tramutarsi da stupore in confusione, da confusione in rabbia, come se stesse venendo preso in giro. Lo vide stringere i pugni e Merlin cercò di mantenere la calma ogni volta. Non poteva interrompere il flusso del suo racconto per rispondere alle mille domande o provocazioni che Arthur stava, probabilmente, per lanciargli. Capiva le sue ragioni, sia la sua confusione che la sua rabbia. E Merlin non si aspettava nemmeno che Arthur gli credesse e basta.
Ad un certo punto, Arthur si alzò di scatto.
"Basta, non sono disposto a sentire una parola in più. Mi spieghi per chi mi hai preso? Prendersi gioco di una persona che non ha nessun ricordo... chissà che diamine mi avete fatto, tu e un altro branco di scellerati. E magari vi aspettate pure che io creda a questa valanga di cazzate, ma vai al diavolo," spostò in malomodo la sedia e s'incamminò a passi svelti fuori dal locale.
Merlin alzò gli occhi al cielo, avrebbe dovuto davvero prevederlo. Scattò verso di lui, cercando di bloccarlo.
"Arthur, ti prego. Non chiudere la tua mente, so che puoi ricordare qualcosa e non ci credo che..." lo afferrò per il braccio e Arthur lo strattonò via con forza. "Lasciami." Disse, categorico.
Merlin si sentì sprofondare.
"Senti, lo so che è difficile da accettare. Hai dormito per così tanto, sei scomparso, ma io ti ho aspettato per secoli Arthur. SECOLI. Ho visto morire chiunque, non mi sono auto-indotto il coma soltanto per aspettarti e tu adesso vorresti semplicemente andartene dicendomi che non mi credi? Mi dispiace, ma io non posso accettarlo," gli occhi di Merlin brillarono, mentre dalla mano tesa uscirono delle scintille dorate, le quali formarono un drago. Fortunatamente nessuno stava passando per strada.
Arthur fece un balzo indietro, spalancando gli occhi con aria stupita.
"Cosa-"
"Magia. Quella è magia. E io sono un mago, uno vero."
Arthur aveva reagito così per un motivo ben preciso: Merlin non aveva fatto un drago per caso, era esattamente la figura che gli aveva mostrato la prima volta che gli aveva confessato di essere un mago. Sperava in quel modo di riuscire a portare a galla qualche ricordo, esattamente come aveva fatto per il nome.
Arthur sibilò qualcosa e poi crollò a terra, inginocchiandosi e portandosi entrambe le mani alla testa.
Merlin lo guardò confuso.
"I-io... ho avuto delle visioni," rispose, a mezza voce. "Ho visto... ho visto te e me, ma non in questo tempo. Io... avevo un'armatura e una spada, avevo appena combattuto una guerra e... stavo morendo," alzò gli occhi verso Merlin. Uno sguardo blu, profondo e spaurito. Le labbra tremavano appena, era quasi impercettibile.
Merlin si inginocchiò davanto a lui, mettendogli le mani sulle spalle.
"E' tutto vero, Arthur. Sono i tuoi ricordi, stanno affiorando."
I suoi occhi sembravano di vetro, così spalancati e così disorientati.
"Non può essere... non... non ha senso niente di tutto ciò."
"Lo so, è normale che per te non ne abbia, ma ti assicuro che è tutto perfettamente... programmato. Ancora non so dirti perché tu sia tornato adesso, Arthur. Per tua fortuna hai saltato delle fasi complesse di questo mondo, ma evidentemente adesso c'era di nuovo bisogno di te."
"Io non credo di poter reggere tutto ciò," mormorò, scuotendo la testa, "non so nemmeno come possa avere senso..."
"Cosa?"
"Uscire da un lago e ritrovarsi qui, senza memoria, con te che parli di magia, me la mostri, io che ricordo cose di una vita passata e chissà se sono veri o..."
Merlin si spanzietì, spostandosi un poco da lui.
"Smettila di mettere in discussione le mie parole, Arthur. Perché dovrei mentirti?! Hai idea per quanto tempo io abbia aspettato questo momento? Hai idea per quanto tempo io abbia aspettato te? Ho visto questo mondo crollare e rimettersi in piedi un'infinità di volte, uomini ripetere errori e battaglie, malattie propagarsi a macchia d'olio, persone morire sotto i miei occhi. Persone che amavo, alcune. Una lunga lista, potrei anche aggiungere. E tu ora arrivi e nonostante l'evidenza non vuoi nemmeno credere a ciò che ti sto dicendo?!" esclamò, innervosito.
Arthur strinse le labbra, aggrottando le sopracciglia e guardandolo contrariato.
"Non è quello che ho detto."
"Invece sì, Arthur Pendragon. Magari nei tuoi ricordi riaffiorerà il Merlin che avevi conosciuto, ma non sono più quella persona e non sono disposto ad ascoltarti mentre non mi credi o respingi ciò che sono..."
Lo sguardo dell'altro uomo mutò, ammorbidendosi un poco, mentre le sue labbra si separavano appena.
"Io..."
"Quindi ti chiedo almeno di finire di ascoltare la nostra storia, prima di saltare a una qualunque conclusione."
Arthur si alzò di nuovo, spazzolandosi appena le ginocchia con le mani.
"Andiamo in riva al lago?"
Merlin annuì e si incamminarono insieme verso il lago di Avalon. Merlin sperava, in cuor suo, che potesse essere utile al re per ricordare qualcosa sulla sua vita passata.
Quando il mago terminò i racconti, ormai il sole era tramontato da un pezzo. Il crepuscolo aveva preso il suo spazio nel cielo, tinteggiandolo di blu scuri intrisi di viola. Era una bella serata.
"Non penso basterebbe una settimana per raccontarti ciò che manca, o forse non basterebbe una vita intera" spiegò infine, Merlin. Arthur, alla fine, era rimasto ad ascoltarlo tutto il tempo. Poté quasi giurare di aver scorso nei suoi occhi dei barlumi, forse di ricordi. Li aveva captati.
"Come hai fatto?" chiese soltanto, Arthur. Le luci dei lampioni illuminavano il suo volto, che improvvisamente sembrava davvero molto pallido.
"A fare cosa?"
"Ad aspettare tutto questo tempo..." disse, guardando Merlin negli occhi. Le sue mani erano unite, le teneva in grembo, come a proteggersi da qualcosa.
Merlin scosse la testa, sorridendo mestamente.
"Ti sorprenderebbe sapere quante cose sono disposto a fare per te."
Arthur inarcò le sopracciglia.
"Direi che aspettarmi per un'eternità è già di per sé un bel prezzo da pagare."
Merlin reclinò la testa di lato, divertito.
"Sì beh, diciamo di sì."
Voleva dirgli che in realtà tutte quelle cose le aveva fatte per amore. Nessuno avrebbe aspettato così tanto una persona, altrimenti. Nemmeno lui.
"Il destino ha sicuramente influito," aggiunse poi, alzando gli occhi verso il cielo, come alla ricerca di qualcosa. Kilgarrah sarebbe stato molto fiero di lui, probabilmente.
"Non avrei saputo aspettare così tanto," rifletté, Arthur.
"Sono sicuro che avresti trovato il modo. Però posso confermare che non è sempre stato facile, ci sono state volte in cui avrei voluto addormentarmi e non risvegliarmi per un po', ma non potevo sapere quando saresti tornato e io non potevo permettermi di perderti."
Arthur gli sorrise, dolcemente. Era il primo che gli vedeva fare a quel modo da così tanto tempo. Il suo cuore si scaldò, ricordando le volte in cui gli donava quegli sguardi ormai troppo tempo fa. Erano quasi svaniti dalla sua memoria, fortuna che forse poteva collezionarne di nuovi, finalmente.
"Dovevamo davvero essere molto uniti," asserì Arthur, guardandolo un po' più serio. Giustamente anche se credeva ai suoi racconti, non poteva ricordare i sentimenti. Merlin annuì piano, provando una fitta di amara consapevolezza di fronte a quell'affermazione: forse avrebbe dovuto ricostruire da zero tutto il rapporto con lui. Non sapeva se era pronto. E se non ci fosse più stata la solita complicità? Lui era cambiato moltissimo, in fondo.
"Lo eravamo," rispose, semplicemente. Arthur annuì piano e si guardò intorno.
"Beh... io non credo di ricordare bene tutto ciò a cui hai fatto riferimento, sai. Ho come dei flash e beh... non so di preciso che tipo di rapporto avessimo quando, emh, sono morto. Da ciò che descrivi era molto intenso e io sono sicuro che sia così perché sto provando un senso di familiarità che non ho sentito verso nessuno da quando ho aperto gli occhi e ho preso consapevolezza di essere vivo," spiegò, facendo le spallucce. "Mi dispiace non poterti dare di più."
Merlin si chiese il perché di quella frase. Forse Arthur aveva visto della malinconia nel suo sguardo? O magari era la frase che aveva detto?
Di certo comunque non voleva farlo sentire in colpa per non ricordarsi tutto. Anzi, era già sufficiente che gli credesse, almeno.
"Non preoccuparti," rispose Merlin, pacato. "Credo che per oggi tu abbia già dovuto ascoltare abbastanza."
"Oh sì, decisamente. Faccio ancora un po' fatica a credere a tutto ciò che mi hai detto, in completa onestà..." assottigliò lo sguardo, "ma so che non menti. Ho avuto dei flash, dei piccoli ricordi e... per la prima volta delle frasi non mi sembrano totalmente assurde anche se lo sono. Certo sono quasi convinto che domani mattina mi sveglierò e scoprirò che è stato tutto un sogno."
"Ne dubito," Merlin si alzò in piedi, "in ogni caso, si sta facendo tardi e umh, il tuo coinquilino sarà preoccupato per te?" chiese, passandosi le mani sui pantaloni per togliersi eventuali residui di terra.
"Penso sia a lavoro. E' stato molto gentile ad accogliermi ma vorrei trovare una sistemazione quanto prima... continuo a sentirmi tremendamente fuori posto."
Il che aveva tremendamente senso, non essendo il suo tempo.
"Ti sei adeguato velocemente a vivere qui? A tutto ciò che fa parte di questo mondo?" chiese Merlin, incuriosito. In effetti Arthur non sembrava spaventato da nessuna cosa tecnologica. Ma in effetti, sembrava già essere dotato di una coscienza e codice comportamentale adatto a quell'epoca.
Che la magia avesse pensato anche a quello? Non sarebbe stato strano.
"Beh sì, era come se la mia mente già sapesse. Come se avessi già un trascorso su questa terra, per questo non riuscivo a crederci quando parlavi di una vita passata e... del fatto che io non avessi mai vissuto qui."
"Però?"
"Però, in effetti, non ho amici. Nessuno ha memoria di me e comunque sia sembra che io non sia mai esistito finché non sono uscito dal quel maledetto lago e... sulla schiena ho un tatuaggio che sembra simuli lo stemma dei Pendragon," concluse, dando un'occhiata all'indietro.
"Beh Arthur, direi che dopo che ti ho raccontato la storia non ci sono più molti dubbi, no?"
"Vorrai scherzare. Io ne ho almeno altri duecento, di dubbi. La tua... nostra storia ha aperto almeno un'altra ventina di domande."
Merlin si mise le mani sui fianchi.
"Credo che tu debba soltanto riposare per stasera e poi ne riparleremo, non trovo abbia molto senso continuare a discutere finché tu non riuscirai a convincerti e almeno metabolizzare queste notizie."
Sapeva che Arthur voleva delle risposte concrete, ma la verità era che Merlin gli aveva detto tutto ciò che poteva e sperava di essere stato anche abbastanza chiaro, per quanto magari potesse sembrargli tutto assolutamente assurdo.
"Ti riaccompagno a casa," si offrì poi, il mago. "Dove abiti, quindi?"
Arthur tossicchiò, forse imbarazzato.
"Non troppo lontano da qui, vieni, ti guido io," rispose, tagliando corto. Non sapeva i nomi delle vie, era naturale. Come poteva, non avendo davvero vissuto lì?
Quando arrivarono sotto la temporanea casa di Arthur, Merlin gli sorrise. Non voleva davvero lasciarlo andare per la notte e sapeva che non era un pensiero razionale, ma la paura di perderlo di nuovo ora che l'aveva ritrovato, era davvero tanta. Fece appello a tutto il suo buon senso per non chiedergli di andare a casa con lui - anche perché, dopo così tanto tempo, Merlin non sarebbe riuscito a controllare l'irrefrenabile voglia di stringerlo a sé e non lasciarlo andare mai più.
"Beh allora... buonanotte Merlin," disse Arthur, infilandosi le mani nelle tasche e facendo una mossa col corpo un po' imbarazzata. Merlin si morse il labbro inferiore, senza rispondere.
"Io vivo in fondo alla strada," rispose Merlin, prima di lasciarlo andare. Puntò il dito e una scia magica sgorgò da esso, "ecco, vedi dove finisce? devi svoltare a destra, il numero quarantadue sarà casa mia," spiegò il mago, muovendosi nervosamente sulle gambe. La verità era che voleva davvero farlo andare da lui e non separarsene più, ma era piuttosto ovvio che Arthur non fosse dello stesso avviso.
"Aspetta," disse poi, prendendo dalla propria tasca un cristallo. Lo guardò e i suoi occhi si illuminarono, incantandolo. "Con questo saprai sempre dove sono. Cercami e ti indicherà la via," diede la pietra ad Arthur, il quale la prese. Brillò all'interno della sua mano e lui la guardò esterreffatto.
"E' fantastico," sussurrò, incuriosito, affascinato. Merlin sorrise. Stavolta avrebbe potuto vivere il proprio segreto alla luce del giorno e chissà, forse Arthur lo avrebbe veramente apprezzato per ciò che era. Sembrava tutto un nuovo percorso da ricostruire e lui era sinceramente ansioso di farlo. Voleva vedere sul suo volto la meraviglia, tutto ciò che aveva perso a Camelot, ora poteva recuperarlo. Non poteva certo sperare che si innamorasse di lui, forse era chiedere un po' troppo, ma poteva almeno sperare di non nascondergli più niente. Si sentiva come se si fosse tolto un enorme peso dal petto, come un tempo. L'unica differenza era che adesso Arthur aveva molti meno pregiudizi e che, per fortuna, non era in punto di morte.
Arthur sollevò la mano con il cristallo luminoso, il quale adesso si stava lentamente affievolendo.
"Direi che ti do la buonanotte, Merlin," disse, facendo qualche passo indietro. Merlin rispose e rimase immobile, guardandolo mentre entrava in casa. Si scambiarono un ultimo cenno, finché la figura di Arthur sparì oltre la porta.
Merlin rimase da solo con i propri pensieri e si incamminò di nuovo verso casa, mentre poteva sentire ancora dentro al proprio petto quella sensazione di completezza che ormai non provava da secoli.
Inspirò a pieni polmoni l'aria fresca. Odorava di buono, vibrava dentro di lui. Era come se la magia fosse davvero tornata a far parte di quella terra.
Sorrise; quella notte forse non avrebbe dormito. Si sarebbe abbandonato ad ogni genere di pensiero, dal migliore fino al più dolce per concludere con il più sconcio.
Merlin si svegliò di soprassalto quando il citofono squillò alle otto del mattino. Chi cazzo era ad andare a casa sua di sabato mattina alle otto? Si meritava di sicuro una denuncia.
Aprì la porta in ciabatte, con una vestaglia mezza slacciata e i capelli completamente in disordine. Si strofinò un occhio, collegando solo qualche istante dopo che quello di fronte a lui era Arthur Pendragon.
Ah, già. C'era quel piccolo dettaglio. Piccolo e assolutamente reale, in tutti i sensi - anche se forse non piccolo. Non lo sapeva, la sua mente gli giocava brutti scherzi finché non prendeva almeno il primo caffè della giornata.
"Arthur..." sbiasciò, facendosi da parte, "Non ti aspettavo così presto, entra," disse, facendogli cenno e spazio per entrare.
"Scusami, mi sembra di essere arrivato in un brutto momento. Stavi ancora dormendo, eh?" chiese, grattandosi la testa con la mano libera. Nell'altra un sacchettino di carta.
"Sì, umh," mugugnò Merlin, sedendosi sul divano.
"Ho portato la colazione però," Arthur la appoggiò sul tavolo. "Spero possa farti piacere..."
Merlin si stranì. L'Arthur che conosceva non avrebbe mai fatto un gesto simile, ma è anche vero che l'Arthur che conosceva non c'era più, o almeno non completamente. Quella era una nuova forma, adattata ai tempi in cui vivevano.
"Certo," Merlin si sedette al tavolo, invitando Arthur a fare lo stesso. "Ti preparo un caffè o un tè?"
"Un tè andrà benissimo," annuì, spacchettando le donuts che aveva acquistato per entrambi. Quando si voltò verso i fornelli, Merlin fece appello a tutto il suo autocontrollo per non farsi scendere le lacrime. Non era un sogno, Arthur era tornato davvero. Dopo così tanti anni di attesa, sembrava ancora una cosa così assurda e irreale. Sorrise, abbassando gli lo sguardo e inspirando. Non poteva farsi vedere così.
"E quindi Merlin, cosa mi consigli di fare in questo nuovo mondo?"
Merlin inarcò le sopracciglia, sorpreso. Esitò per qualche secondo.
"Oh beh..." appoggiò la tazza di tè di fronte a lui, "sicuramente ti posso consigliare di trovare un lavoro per riuscire a vivere. Non sei più ricco come nella vita passata."
Sbuffò.
"Non ho idea di quali siano le mie capacità e non so minimamente cosa significhi lavorare, sei sicuro che non ho boh, un'eredità o qualcosa del genere? Sembri sapere così tante cose su di me, magari sei a conoscenza anche di questo."
Merlin si morse il labbro inferiore, imbarazzato.
"Credo che sia andato tutto perso con la tua storia, Arthur. Adesso non sei nient'altro che... un comune mortale. Anche se visto che sei re una volta e re per sempre, e questo probabilmente dovrebbe significare qualcosa."
"Potrei far parte della famiglia reale!"
"Dubito che potresti entrare nel Palazzo Reale e dire 'ehi io sono re Arthur Pendragon e questo è il mio trono' se è questo che intendi."
Arthur reclinò la testa verso l'altro, esasperato.
"Cosa dovrei fare, allora? Non posso continuare a vivere a casa di Leon."
Merlin si fermò.
"Leon?"
Arthur abbassò la tazza di tè, finendo di bere.
"Sì, è il nome dell'agente che mi ha aiutato, perché?"
"Arthur, Leon era anche il nome di uno dei... oddio," improvvisamente una consapevolezza lo colpì fortissimo nello stomaco. E se fossero tornati tutti? E se fossero tornati anche Mordred e Morgana? La storia forse era destinata a ripetersi da capo.
Inspirò. Doveva mantenere assolutamente la calma, non c'era motivo per andare nel panico e il drago non aveva mai parlato di un'eventualità simile - a meno che non lo potesse sapere.
"Cosa?" lo incalzò Arthur.
"Niente. Cioè, era il nome di uno dei tuoi cavalieri, sai, quando eri re..."
"Oh, in effetti lo avevi citato. Ma non c'avevo pensato... non essere assurdo però, non credo che..." Arthur si fermò, facendo vagare il suo sguardo su Merlin. In fondo se lui era lì perché non potevano essere tornati anche tutti gli altri? Poteva avere senso.
"Non lo so," rispose sinceramente, "ma anche se fosse, Sir Leon è stato un attimo cavaliere e fedele amico fino alla fine, quindi sarebbe soltanto una bella notizia." La domanda che si poneva Merlin, però, era come fosse possibile che nonostante tutto quel tempo passato lì, non avesse mai incrociato nessuno. Erano tornati tutti con Arthur?
Merlin addentò una donuts e sorrise ad Arthur, grato. "Buonissime. Grazie per averle prese," Arthur fece un cenno con la mano, sorridendogli a sua volta. Era strano per Merlin tornare a condividere qualcosa con lui, specialmente in quel tempo, specialmente in quei termini. Sembrava che fosse finalmente possibile avere un rapporto paritario e in un certo senso, negli anni Merlin non aveva sperato nient'altro.
"Lo facevamo spesso?" Arthur interruppe il silenzio e Merlin quasi non si strozzò con il pezzo di ciambella, lasciando che la sua mente vagasse verso il significato sbagliato di quella domanda.
"Cosa?" chiese poi, con poca sicurezza.
"Mangiare insieme, condividere questo tipo di momenti..." Arthur fissava il tavolo. Non doveva essere facile. Merlin rifletté per qualche secondo; lui non se l'era passata bene aspettandolo per così tanto tempo, ma non poteva negare di non riuscire nemmeno a comprendere lontanamente come potesse sentirsi Arthur, svuotato di ogni ricordo e con qualche flash qua e là, totalmente in balia della memoria delle altre persone.
"Beh sì, voglio dire..." cercò di sorridergli, incontrando il suo sguardo smarrito e sentendosi sprofondare, "ero il tuo servitore, perciò non era proprio così. Però eravamo amici, abbiamo condiviso moltissimi momenti e beh, ho cucinato per te tante volte."
Avrebbe voluto aggiungere che non potevano condividere così tanto, visto che non era così facile condividere un pasto quando dovevi essere tu a servirlo, ma al tempo stesso non lo ritenne necessario. In fondo l'unica cosa che contava davvero era ciò che avevano come amici.
"E' che Merlin," assottigliò lo sguardo, "è strano da descrivere e non saprei come farlo, ma provo qualcosa... è un senso di familiarità, di assoluta e completa fiducia. Non riesco a spiegarmelo perché il me di adesso nemmeno ti conosce, tuttavia non posso far a meno di fidarmi di te," reclinò la testa di lato. "Non mi avrai fatto un incantesimo, vero?" chiese poi, forse ironico. Merlin non riuscì subito a decifrarlo.
"No, non direi. Se avessi fatto un incantesimo non ti farei nemmeno dubitare, non trovi?"
Arthur sospese una mano in aria e poi la appoggiò sul tavolo. "Giusto, giusto."
Si rilassarono entrambi un poco.
"Quindi erano frequenti questi momenti e... eravamo molto amici. Quanto tempo abbiamo passato insieme?"
"Oh, direi moltissimo. In anni comunque credo almeno otto..."
"Come fai a ricordare tutte queste cose? Sono passati secoli."
"Sono uno stregone, ricordi?" Merlin fece le spallucce, "A volte porto comunque il fardello di queste memorie, non voglio negarlo. Non voglio nemmeno sembrarti indelicato, ma tutto ciò che mi sono portato dentro questi anni è... molto con cui convivere."
Arthur annuì. "Siamo agli opposti, eh?"
Merlin sorrise appena.
"Come sempre, oserei dire. Tu un principe, io solo un servo."